di Giulio Andreani
L’articolo 15, comma 1, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha introdotto, in capo ai creditori pubblici qualificati, l’obbligo di inviare al debitore una segnalazione ogni qualvolta la sua esposizione debitoria abbia superato nei confronti di tali creditori le soglie all’uopo stabilite dal successivo comma 2 del medesimo articolo, con la conseguenza che, se entro novanta giorni dal ricevimento di tale comunicazione, questi non regolarizza i propri debiti o non presenta istanza di composizione assistita della crisi ovvero di accesso a una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, i suddetti creditori devono segnalarlo all’organismo di composizione della crisi d’impresa (OCRI) per le iniziative demandate a questo soggetto da altre disposizioni dello stesso Codice.
A tal fine il comma 2 del citato articolo 15 stabilisce che l’agenzia delle Entrate deve rendere la predetta segnalazione quando:
- l’ammontare totale del debito scaduto e non versato relativo all’iva risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica di cui all’articolo 21-bis del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 sia pari ad almeno
- il 30 per cento del volume di affari del medesimo periodo e al tempo stesso non inferiore a euro 25.000, 50.000 e 100.000 con riguardo, rispettivamente, a volumi di affari risultanti dalla dichiarazione iva relativa all’anno precedente fino a due milioni di euro, fino a dieci milioni di euro e oltre dieci milioni di euro.
A causa della laconicità della lettera della norma, in merito al rapporto tra i valori qui sopra indicati sub a) e sub b) occorre chiedersi sia come vada calcolato il debito di cui alla lett. a), sia quale sia il periodo cui fare riferimento per determinare la predetta soglia del 30 per cento del volume di affari di cui alla lett. b).
È da ritenersi che il debito debba essere determinato con riguardo all’intero periodo oggetto della comunicazione di cui al citato articolo 21-bis e non al periodo oggetto delle singole liquidazioni: sia perché la norma si riferisce alla comunicazione e non alla liquidazione, sia perché un solo mese costituisce un periodo troppo limitato, che può essere viziato da un evento straordinario e risultare quindi privo di significatività. Inoltre tale debito dovrebbe essere costituito dalla sola imposta e non anche dalle sanzioni e dagli interessi dovuti a seguito del mancato versamento del tributo: sia perché la norma fa riferimento, appunto, esclusivamente all’imposta, sia perché, ove dovessero essere considerate anche le sanzioni e gli interessi, la comparazione con la soglia del 30 per cento del fatturato non sarebbe omogenea. Infine esso dovrebbe essere dato non solo dall’importo non versato risultante dalla comunicazione periodica di cui sopra, ma dall’intero debito maturato alla data finale cui questa si riferisce; conducono a questa conclusione sia la lettera della norma, per cui rileva “l’ammontare totale del debito scaduto”, sia la ratio della stessa, poiché non avrebbe senso, venendo la norma privata della sua causa, un’interpretazione in base alla quale non fosse considerato anomalo un debito scaduto pari, ad esempio, al 200 per cento del volume di affari di un intero anno, solo in quanto formatosi, ad esempio, nel corso di più anni, pur senza eccedere mai la soglia del 30 per cento in ciascun periodo oggetto della comunicazione di cui all’art. 21-bis del citato d.l. n. 78/2010.
Quanto al volume di affari cui commisurare la soglia percentuale, è la norma stessa a stabilire che si tratta di quello relativo al “medesimo periodo” cui si riferisce la predetta comunicazione della liquidazione periodica; vi è tuttavia da chiedersi se, quando, per il motivo poc’anzi esposto, il debito da assumere ai fini della comparazione è dato, non solo da quello (relativo a tre mesi) risultante da tale comunicazione, ma dal debito accumulato in un più ampio spazio temporale sino alla data di riferimento della comunicazione, deve essere considerato solo il volume di affari inerente a detto periodo o, invece, quello relativo all’intero periodo in cui è maturato il debito. Pare da escludere che si tratti del volume di affari di tale intero periodo: sia perché sussiste una relazione, ancorché ampiamente variabile da caso a caso, tra la capacità di un’impresa di pagare i propri debiti e il volume di affari annuale delle stessa, mentre non ne sussiste alcuna con il volume di affari di più periodi; sia perché diversamente opinando la sproporzione del debito non pagato rispetto al volume di affari potrebbe non emergere nemmeno quando l’ammontare scaduto è un multiplo del volume di affari, cioè in una situazione in cui lo squilibrio finanziario è grave ed evidente. Infatti, assumendo, ad esempio, che un’impresa avente un rapporto fra iva a credito e iva a debito pari al 50 per cento (che non è poco) non versi mai l’iva dovuta, se la norma fosse diversamente interpretata, come risulta dai casi 1 e 2 esposti negli esempi, il superamento della soglia non avverrebbe mai, nonostante l’applicazione dell’aliquota ordinaria; al contrario, sulla base della tesi poc’anzi prospettata tale superamento, come si evince dal caso 3, avrebbe luogo dopo nove mesi di omessi versamenti (e dopo sei mesi in presenza di un rapporto fra iva a credito e iva a debito pari al 25%), che costituisce tra l’altro un parametro temporale coerente con quello previsto dal medesimo articolo 15 per la segnalazione, da parte dell’Inps, del debito previdenziale scaduto.
Considerato che il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza entrerà in vigore fra oltre un anno, non manca il tempo per calibrare meglio la norma.
Ecco un esempio