La Cassazione nega natura di finanza esterna del surplus finanziario derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa

di Giulio Andreani

Con la sentenza 22169 del 6 agosto 2024 la Corte di cassazione pone, con riferimento alla legge fallimentare, una pietra tombale sulla natura di finanza esterna del surplus finanziario derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa e sull’applicabilità della regola della priorità relativa nel concordato preventivo in continuità aziendale, affermando il principio di diritto in base al quale tale surplus è da intendersi quale mero incremento di valore dei fattori produttivi aziendali; rientra quindi nell’oggetto della garanzia generica del credito prevista dall’articolo 2740 del Codice civile e conseguentemente non è liberamente distribuibile dal debitore, soggiacendo al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione.
La quaestio iuris affrontata dalla Suprema corte consisteva nello stabilire se il surplus fosse liberamente destinabile dal debitore senza vincoli di distribuzione (cioè senza rispettare l’ordine delle cause di prelazione), in quanto finanza esterna, ovvero se anche tale valore dovesse sottostare a detto ordine in base all’articolo 160, comma 2, della legge ìfallimentare. Secondo la Corte, i flussi non sono che l’incremento del valore dell’azienda realizzato tramite la continuità aziendale e, pertanto, devono essere considerati “beni futuri”, in quanto tale soggetti al rispetto delle cause di prelazione.
Una diversa disciplina non può essere tratta dall’articolo 84, comma 6 del Codice della crisi, che ha introdotto la regola della priorità relativa per la distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione, perché tale disposizione costituisce una rilevante novità rispetto alla pregressa disciplina, non potendosi ritenere che ricorra un ambito di continuità tra il regime fallimentare e quello successivo e che la nuova norma sia pertanto idonea a rappresentare un utile criterio interpretativo della legge fallimentare.
L’affermazione della Suprema corte, secondo cui i flussi finanziari altro non sono che l’incremento del valore dell’azienda realizzato tramite la continuità aziendale, richiede peraltro una precisazione, perché in parte essi sono espressione del valore dell’azienda già esistente all’apertura della procedura (ove esista). Pertanto, relativamente a tale parte neppure con l’avvento del Codice della crisi può essere applicata la regola della priorità relativa e di ciò pare doversi trarre conferma dalla modifica che il decreto correttivo apporta all’articolo 87, comma 1, lettera c), del Codice per definire meglio il valore di liquidazione.

6 Agosto 2024