di Giulio Andreani
Il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari, proposto all’Erario mediante la proposta di transazione fiscale nell’ambito della crisi d’impresa, non trova applicazione nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ma solo nel concordato preventivo. Lo ha confermato l’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco, superando la tesi da essa stessa precedentemente sostenuta con le circolari 16 del 23 luglio 2018 e 34 del 29 dicembre 2020. Tali documenti di prassi erano stati peraltro pubblicati sotto la vigenza dell’articolo 182-ter della legge fallimentare, che disciplinava unitariamente la transazione fiscale sia nel concordato preventivo sia nell’accordo di ristrutturazione, a differenza del Codice della crisi, che disciplina distintamente tale istituto, nell’articolo 88 relativamente al concordato e nell’articolo 63 relativamente all’accordo di ristrutturazione, differenziandone i regimi con maggior chiarezza.
La non deteriorità del trattamento dei crediti tributari presuppone la rilevanza delle cause di prelazione previste dalla legge e quindi del principio della par condicio creditorum; poiché né tali cause né tale principio vigono nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, attesane la natura negoziale, ne discende che nemmeno il divieto di trattamento deteriore può trovare in esso applicazione. Deve essere invece certamente rispettato nel concordato, posto che in questa procedura l’ordine le cause di prelazione sono applicabili (seppur con l’attenuazione, nel concordato in continuità, discendente dalla regola della priorità relativa).
Pertanto, se dei creditori chirografari (come i fornitori e le banche in relazione a crediti privi di specifica garanzia) vengono soddisfatti – nell’ambito di un accordo di ristrutturazione – nella misura, ad esempio, del 70%, ciò non impedisce che i crediti tributari possano essere pagati solo in quella, ad esempio, del 30%; a condizione, tuttavia, che nell’alternativa liquidatoria il soddisfacimento di tali crediti non possa essere superiore, cioè a patto che in tale ipotesi (proseguendo nell’esempio) non superi il trenta per cento.
Quel che deve interessare all’amministrazione finanziaria, e rileva ai fini dell’approvazione della proposta di transazione fiscale da parte della stessa, non è infatti la comparazione con il trattamento di altri creditori, ma la convenienza di quello offertole mediante la proposta di transazione fiscale rispetto alla liquidazione giudiziale dell’impresa debitrice. Tale alternativo soddisfacimento, come le stesse Entrate hanno tenuto a rimarcare, deve essere determinato, mediante una simulazione del riparto dell’attivo che verrebbe attuato a favore dei creditori nella liquidazione giudiziale, rispettando l’ordine delle legittime cause di prelazione, trovando esse rigorosa applicazione in detta procedura.
In verità, a queste conclusioni si poteva giungere, per le medesime ragioni, già sotto la vigenza della legge fallimentare, ma meglio tardi che mai.
20 settembre 2023