Il Consiglio di Stato evidenzia criticità nel decreto correttivo. Nel mirino concordato preventivo in continuità e accordo di ristrutturazione
di Giulio Andreani
Con il parere rilasciato il 1° agosto al ministero della Giustizia, il Consiglio di Stato ha espresso una nutrita serie di osservazioni sul decreto correttivo del Codice della crisi approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 10 giugno, occupandosi anche delle norme che modificano il trattamento dei debiti tributari nell’accordo di ristrutturazione e nel concordato preventivo in continuità, in merito alle quali ha rilevato criticità da superare (in linea peraltro con quanto già segnalato su questo quotidiano).
Con riguardo alla transazione fiscale attuata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione ritiene opportuno «che la relazione illustrativa sia integrata con riferimento alle valutazioni in base alle quali è stato previsto, con il comma 5 dell’articolo 63 del Codice, l’innalzamento dal 40 al 70% della percentuale di soddisfacimento dei crediti dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali ai fini del cosiddetto cram down fiscale», evidentemente ritenendo tale innalzamento privo di adeguata giustificazione. Sarà tuttavia difficile che la relazione illustrativa possa indicarne una reale, perché si tratta di una misura che non può averne alcuna.
Infatti, l’esperienza insegna che all’elevazione di una soglia legale di soddisfacimento del debito non corrisponde affatto un incremento automatico del pagamento offerto dal debitore ai creditori, perché le imprese che si trovano in una situazione di crisi dispongono di risorse finanziarie limitate da destinare al pagamento dei debiti (anche quando interviene un investitore esterno). Conseguentemente, se nell’ambito dell’Adr l’omologazione forzosa risulta troppo onerosa, il debitore è indotto a perseguire il risanamento mediante un diverso istituto in cui le soglie non siano previste (ad esempio il concordato in continuità).
Soglie troppo elevate possono pertanto produrre un effetto opposto a quello desiderato e, per questo motivo, sarebbe preferibile conservare quelle del 30 e del 40% attualmente vigenti, introdotte con il decreto legge 69/2023.
L’altra osservazione del Consiglio di Stato riguarda il comma 4 dell’articolo 88, il quale stabilisce che il tribunale omologa il concordato preventivo in continuità aziendale anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, se il soddisfacimento di questi creditori risulta non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Ricorrendo questa ipotesi – prosegue la norma – «il tribunale omologa se tale adesione (quella del Fisco o degli enti, ndr) è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista, ai fini della omologazione, dal primo periodo dell’articolo 112, comma 2, lettera d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1», cioè quelle dei creditori pubblici.
Tale norma dispone con chiarezza la possibilità del cram down fiscale in tale tipo di concordato, ma l’uso della congiunzione (con valore disgiuntivo) “oppure” rischia di generare nuove incertezze sugli effetti del provvedimento del tribunale sul voto, perché, così scritta, sembra porre in alternativa la prima parte del secondo periodo del comma 4, che individua l’effetto del cram down nella conversione del voto negativo dei creditori pubblici in voto positivo, con la seconda parte del medesimo periodo, che individua invece l’effetto del cram down nella mera sterilizzazione di tale voto ai fini del calcolo della maggioranza delle adesioni.
Tale disposizione consentirebbe quindi entrambi i criteri, ma, se così fosse, la previsione del secondo sarebbe del tutto inutile, poiché non sarebbe mai necessario farvi ricorso, attesa la sufficienza del
primo a consentire tutte le omologazioni consentite dal secondo. Al riguardo, il Consiglio di Stato osserva opportunamente che «ad una prima interpretazione logica, non si percepisce l’utilità della seconda fattispecie prevista dopo la disgiuntiva “oppure”…» e, per tale ragione, invita il ministero della Giustizia a valutare «se residui un effettivo ambito applicativo della seconda fattispecie».
5 Agosto 2024