di Giulio Andreani e Angelo Tubelli
Il creditore può emettere la nota di variazione in diminuzione, a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis legge fallimentare<7u>, solo dalla data di omologazione dell’accordo e comunque entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno di omologa; inoltre, se il recupero dell’imposta è esercitato entro detto termine, il debitore deve registrare «a debito» la nota ricevuta e versare l’Iva dovuta sulla base della relativa liquidazione periodica.
Lo afferma l’agenzia delle Entrate con la risposta a interpello 340 del 13 maggio, secondo cui, per gli accordi di ristrutturazione non valgono le regole generali dettate per le procedure concorsuali «ordinarie», secondo cui il fornitore deve attendere il termine della fase esecutiva della procedura per l’emissione della nota di variazione e il cessionario è esonerato dalla registrazione «a debito» del documento. Ciò perché gli accordi di ristrutturazione non sono «vincolanti per i creditori rimasti ad essi estranei» e la relativa disciplina «non prevede limitazioni all’attività gestoria del soggetto in crisi». L’Agenzia ha poi chiarito che, se la nota di variazione in diminuzione viene emessa prima della data di omologa dell’accordo oppure dopo il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno di omologa, l’impresa debitrice non è tenuta a registrare il documento (e quindi a versare la relativa imposta).
Il chiarimento è in linea con l’articolo 26 Dpr 633/1972, con la previsione del comma 5 , che subordina la nascita dell’obbligo di rettifica da parte del debitore al caso in cui «il cedente o il prestatore si avvalga della facoltà» di emettere la nota di variazione in diminuzione, ossia all’effettivo esercizio del diritto di recupero dell’Iva dal lato del creditore. Esso si discosta però dalla pronuncia della Cassazione 18837/2020, secondo cui l’obbligo di rettificare l’Iva detratta prescinderebbe dall’emissione della nota di variazione da parte del fornitore e insorgerebbe automaticamente in capo al cessionario per effetto della riduzione del debito dello stesso discendente dall’omologazione dell’accordo; ciò per evitare il danno erariale in capo al cessionario stesso, di un’imposta da questi non assolta. La tesi dei giudici di legittimità, tuttavia, non considera che, se l’obbligo di rettifica della detrazione operasse distintamente dall’effettivo esercizio del diritto di recupero dell’Iva da parte del fornitore, anziché un danno erariale, si genererebbe un indebito arricchimento dello Stato, ogni volta che il cessionario rettifichi l’Iva detratta, senza che il fornitore l’abbia recuperata mediante l’emissione della nota di variazione; tant’è che proprio da questo discende il «collegamento» che il legislatore ha sancito nel comma 5 dell’articolo 26.