Le disposizioni dedicate, nella Legge fallimentare prima e nel Codice della crisi poi, al trattamento dei crediti tributari e contributivi hanno vissuto, da quando vennero introdotte nell’ordinamento nel 2005 a oggi, varie stagioni. In questo periodo sono state, infatti, modificate più volte, alla continua ricerca di un assetto normativo che favorisse il recupero dei crediti erariali e il risanamento delle imprese in crisi, da un lato, ed evitasse abusi e ingiustificati benefici per i debitori, dall’altro.
Un quadro di norme coerente ed equilibrato è del resto necessario sia per contemperare le contrapposte esigenze e i diritti dei vari protagonisti dei risanamenti aziendali, sia per rendere possibile quel bilanciamento di principi (di capacità contributiva, di buon andamento della pubblica amministrazione, di uguaglianza e della riserva di legge) che, anche sotto il profilo costituzionale, occorre compiere per giustificare il sacrificio che l’amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali subiscono a seguito della falcidia dei loro crediti; falcidia che deve essere quindi compensata dai vantaggi generati, oltre che dal recupero dei crediti che discende dal pagamento parziale degli stessi, dal salvataggio di imprese che meritino di essere conservate, in considerazione delle utilità che possono successivamente produrre per la collettività, se hanno effettivamente la capacità di riacquisire e di conservare nel tempo il proprio equilibrio economico-finanziario e patrimoniale.
Il terzo decreto correttivo del Codice della crisi (il c.d. “Correttivo ter”) incide significativamente sul trattamento dei suddetti debiti, con modifiche che in alcuni casi agevoleranno il risanamento delle imprese e in altri, invece, rischiano di renderla più difficoltosa, principalmente a causa delle ulteriori limitazioni introdotte al cram down negli accordi di ristrutturazione dei debiti. In queste ultime ipotesi spetterà agli operatori, la pubblica amministrazione e le imprese, applicare da ambo i lati le norme in modo da evitare tale rischio.
Appartiene al primo tipo di norme, quelle che favoriscono il risanamento, il comma 2-bis dell’art. 23 del Codice della crisi aggiunto dal Correttivo ter, grazie al quale, anche nel corso della composizione negoziata potrà essere concluso un accordo transattivo tra il debitore e le agenzie fiscali (Entrate, Dogane e Riscossione). Tale accordo avrà a oggetto il pagamento parziale e/o dilazionato di tutti i debiti tributari, inclusi quelli relativi ai tributi e non solo gli importi dovuti a titolo di sanzioni e interessi come stabiliva e tuttora stabilisce l’art. 25-bis del medesimo Codice. L’accordo non potrà invece riguardare i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, tra i quali non rientra tuttavia l’iva (se non in misura irrilevante), che sarà quindi falcidiabile al pari delle altre imposte. Rimangono invece infalcidiabili, e non può esserne dilazionato il pagamento, i debiti verso gli enti previdenziali e assicurativi, che hanno mostrato ben poca disponibilità verso l’accordo di cui trattasi.
L’impossibilità di ridurre nella composizione negoziata anche i debiti relativi ai tributi (e non solo quelli inerenti a sanzioni e interessi) ha costituito, nei suoi quasi tre anni di applicazione, un freno al miglior utilizzo di tale percorso, in presenza (come spesso è accaduto) di debiti tributari di rilevante entità. Infatti, il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi è consentito, nei vari istituti previsti dal Codice della crisi, solo in presenza: (i) di apposite norme che lo permettano attraverso uno specifico procedimento, qual è quello della transazione fiscale, che anteriormente al Correttivo ter era previsto dagli articoli 63 e 88 del Codice esclusivamente nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo; oppure (ii) di una disposizione che, seppur non introducendo uno specifico procedimento, consente la falcidia di tutti i crediti e quindi anche di quelli tributari e contributivi, qual è quella stabilita dal comma 3 dell’art. 80 del Codice, che prevede l’omologazione del concordato minore nonostante la mancata adesione dei creditori pubblici, o quella dettata dall’art. 25-sexies relativamente alla falcidia della generalità dei debiti nel concordato semplificato. L’introduzione del citato comma 2-bis è quindi certamente opportuna e attribuirà maggior efficacia al percorso della composizione negoziata.
Affinché le agenzie fiscali possano adottare le decisioni di loro competenza sulla base di informazioni affidabili e provenienti da soggetti terzi, valutando quando l’accordo è conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale, è previsto che sia predisposta da un professionista indipendente una relazione che ne attesti la convenienza, la quale dovrà essere allegata alla proposta unitamente a una relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali redatta dal revisore legale del soggetto proponente, se esistente, ovvero, in caso contrario, da un revisore legale a tal fine designato. L’accordo deve essere sottoscritto dalle parti, che devono comunicarlo all’esperto, e produce effetto con il suo deposito presso il tribunale competente. Il giudice, previa verifica della regolarità dell’accordo e dei suoi allegati, ne autorizza l’esecuzione con decreto oppure, nel caso in cui non ne ravvisi la regolarità, dichiara che esso è privo di efficacia.
È esclusa la possibilità di cram down fiscale, ma ciò non deve stupire, attesa la natura della composizione negoziata, che è un istituto stragiudiziale e non consente adesioni forzose dei creditori.
Considerazioni altrettanto positive devono essere espresse in merito al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), nell’ambito del quale anteriormente al Correttivo ter i debiti tributari e previdenziali dovevano essere soddisfatti integralmente, potendo il debitore fruire, per il loro pagamento, solo delle dilazioni previste in via ordinaria per la generalità delle imprese (fatte salve quelle introdotte in via straordinaria da eventuali definizioni agevolate). Nulla avrebbe impedito l’approvazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate e degli Enti di previdenza, di un piano che avesse previsto il pagamento integrale dei debiti tributari e contributivi, non sussistendo alcun motivo per escludere che anche tali creditori potessero esprimere un voto favorevole a una proposta che avesse escluso stralci e dilazioni diverse da quelle già consentite dalla legge per la generalità dei contribuenti. I creditori pubblici non potevano tuttavia approvare la falcidia e la dilazione straordinaria dei loro crediti, poiché l’art. 64-bis, che disciplina il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, non conteneva una norma che permettesse loro di disporre la falcidia dei crediti di cui erano titolari. Ne discendeva che ogniqualvolta il piano di ristrutturazione avesse previsto il soddisfacimento parziale di tali debiti, esso non poteva essere approvato dalle agenzie fiscali e dagli enti previdenziali e, poiché la sua omologazione non poteva essere disposta senza l’adesione di tutte le classi di creditori, il piano era in tal caso destinato a non essere omologato.
Il decreto correttivo pone rimedio a questa lacuna, estendendo, nella sostanza, la transazione fiscale e contributiva al PRO e prevedendo, con l’inserimento del comma 1-bis nell’art. 64-bis, che il debitore può proporre il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi e dei contributi, nonché di sanzioni e interessi, depositando agli uffici territorialmente competenti delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali un’apposita proposta, a cui deve essere allegata la relazione di un professionista indipendente che attesta, oltre alla veridicità dei dati aziendali, anche la sussistenza di un trattamento non deteriore di tali crediti rispetto all’alternativa liquidatoria. Significa che tale proposta deve prevedere un trattamento dei crediti tributari e contributivi non inferiore a quello che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale e che ciò rileva, rispetto a tali crediti, come condizione di efficacia della proposta, che sarebbe altrimenti inammissibile, e non solo in caso di opposizione del creditore dissenziente, come prevede il comma 8 del citato art. 64-bis con riguardo alla generalità di creditori.
È stata tuttavia esclusa la possibilità di cram down fiscale, ancorché la omologazione forzosa sia consentita nell’accordo di ristrutturazione e nel concordato preventivo, in considerazione della natura del PRO, che è fondato sul voto favorevole di tutte le classi di creditori.
Il decreto correttivo risolve anche i principali contrasti interpretativi emersi nei primi due anni di applicazione delle norme del Codice della crisi che disciplinano il concordato preventivo con continuità aziendale.
Il primo contrasto è quello concernente la possibilità di omologare forzosamente la transazione fiscale e contributiva anche in tale tipo di concordato, che è stata esclusa dal prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale principalmente per le seguenti ragioni:
1) per l’incipit del comma 1 dell’art. 88 del Codice, il quale precisava che resta “fermo quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”: si poneva dunque l’interrogativo se le disposizioni di cui all’art. 112 si aggiungessero a quelle dell’art. 88 che disciplinano l’omologazione forzosa oppure le sostituissero;
2) per la lettera del comma 2-bis del medesimo art. 88, il quale, richiamando solo il comma 1 dell’art. 109, che riguardava solo il concordato liquidatorio, avrebbe indotto a escludere il cram down in quello in continuità; la medesima norma, tuttavia, stabiliva che l’omologazione forzosa era disposta se la proposta di transazione era conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria e ciò, poiché il concetto di non deteriorità era (ed è) connesso al concordato in continuità, avrebbe, al contrario, indotto a ritenere ammissibile l’omologazione forzosa anche in questo caso.
Al fine di scongiurare incertezze su un tema così rilevante e di eliminare un reale ostacolo a un proficuo utilizzo del tipo di concordato che, per altri versi il legislatore ha invece mostrato di incentivare, il decreto correttivo prevede la modifica del citato art. 88, prevedendo l’omologazione forzosa anche nel concordato in continuità e disciplinandola, per chiarezza, in due distinti commi.
Il comma 3 è dedicato al concordato liquidatorio e stabilisce che in tale ambito il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, e il soddisfacimento di detti creditori è conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale.
Il comma 4 è dedicato, invece, esclusivamente al concordato in continuità e stabilisce che il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, se il soddisfacimento di detti creditori risulta non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Ricorrendo questa ipotesi (cioè quella della non deteriorità della proposta) – prosegue la norma – “il tribunale omologa se tale adesione (ndr: quella del Fisco o degli enti) è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista, ai fini della omologazione, dal primo periodo dell’art. 112, comma 2, lett. d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1” (cioè quelle dei creditori pubblici).
Attesa la natura del contrasto interpretativo che si prefigge di risolvere, la nuova disposizione intende certamente affermare che il tribunale può disporre l’omologazione forzosa anche nel concordato in continuità, ponendo fine al contrasto dottrinario e giurisprudenziale emerso nel corso dei primi due anni di applicazione del Codice della crisi. Tuttavia, l’uso della congiunzione (con valore disgiuntivo) “oppure”, presente nel secondo periodo del citato comma 4, rischia di generare nuove incertezze, per i motivi esposti nel capitolo del volume dedicato a questi temi.
Il correttivo interviene inoltre su un’altra criticità interpretativa, concernente l’effetto del cram down sul voto dei creditori pubblici, che secondo il prevalente indirizzo è costituito dalla conversione del voto da negativo a positivo, mentre in base ad altro orientamento è rappresentato dalla sterilizzazione di tale voto.
Infine, allo scopo di chiarire il conflitto esistente tra la regola della priorità relativa (art. 84, comma 6) e quella del divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi (art. 88, comma 1) il decreto correttivo introduce in quest’ultima norma una disposizione che fa in ogni caso salvo il rispetto dell’art. 84, comma 6, stabilendo quindi la prevalenza della regola della priorità relativa.
Con altre due modifiche viene infine introdotta la transazione fiscale di gruppo e viene prevista la possibilità di attuare il cram down fiscale anche nel concordato proposto nella liquidazione giudiziale.
Tutte le modifiche alle quali abbiamo fatto sinora cenno agevolano il superamento delle crisi aziendali e sono quindi da considerare opportune. A differenza di altre, di opposto segno, quali sono quelle costituite dalla introduzione di nuove limitazioni alla omologazione forzosa della transazione fiscale connessa ad accordi di ristrutturazione dei debiti, dopo che, con il decreto-legge n. 69/2023, tale forma di omologazione era già stata condizionata a un soddisfacimento minimo del debito tributario e contributivo, variabile, a seconda dell’ampiezza dell’adesione alla ristrutturazione da parte dei creditori diversi da quelli pubblici, dal trenta al quaranta per cento di tale debito, comprensivo di tributi, sanzioni e interessi.
Le nuove limitazioni hanno varia natura e di alcune di esse non vi era in realtà bisogno, perché quelle introdotte con il citato decreto-legge n. 69/2023 si erano già dimostrate sufficientemente efficaci. Non ci riferiamo alla norma che esclude il cram down nell’ADR, quando il debito tributario o contributivo non è inferiore all’ottanta per cento dell’intera esposizione debitoria dell’impresa che ha formulato la proposta di transazione e inoltre: a) il contribuente ha omesso il versamento di imposte o contributi in almeno cinque anni, oppure b) il debito tributario o previdenziale deriva, per almeno un terzo del complessivo debito oggetto di transazione, dall’accertamento di violazioni realizzate mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. Questa disposizione ha infatti il condivisibile scopo di contrastare la condotta di quelle imprese che adottano condotte fraudolente od omettono sistematicamente e dolosamente il versamento di imposte e contributi, magari reperendo in tal modo le risorse finanziarie necessarie per pagare altri creditori come banche e fornitori, confidando poi di ottenere una falcidia dei loro debiti tributari e contributivi semplicemente presentando una proposta di transazione che, alla luce della situazione patrimoniale ormai deterioratasi, risulti conveniente per tali creditori rispetto alla liquidazione giudiziale.
Ci riferiamo alla disposizione che esclude l’omologazione forzosa della transazione se il soddisfacimento dei crediti tributari e contributivi non sarà pari almeno al sessanta per cento di tali crediti, ancorché escludendo dal computo interessi e sanzioni, qualora i creditori diversi da quelli pubblici che hanno aderito alla ristrutturazione rappresentino meno di un quarto dell’intera esposizione debitoria del contribuente, ovvero al cinquanta per cento di tali crediti, esclusi interessi e sanzioni, qualora i creditori diversi da quelli pubblici che hanno aderito alla ristrutturazione rappresentino almeno un quarto dell’intera esposizione debitoria. Infatti, una soglia troppo elevata può produrre un effetto opposto a quello desiderato, spingendo il debitore ad avvalersi di una procedura meno adatta, solo perché in essa tali limitazioni non sono previste e non sussistono soglie minime di soddisfacimento.
Le modifiche apportate alle norme che disciplinano il trattamento dei debiti tributari e contributivi sono state elaborate partendo da un testo inizialmente destinato a costituire la quinta parte del decreto delegato sulla fiscalità della crisi, con cui deve essere data attuazione ai principi direttivi stabiliti dall’art. 9, comma 1, lett. a), della Legge n. 111/2023 (legge delega per la revisione del sistema tributario). Le norme fiscali del decreto correttivo presentano tuttavia notevoli differenze rispetto a tale testo, dovute al confronto che durante i lavori preparatori di tale provvedimento ha avuto luogo fra le parti interessate: rappresentano pertanto, come spesso accade, un compromesso ed è per questo motivo che esse sono, a modesto avviso di chi scrive, meno coerenti, complete e sistematiche di quelle inizialmente predisposte. Tuttavia, rappresentano nel complesso un sicuro miglioramento rispetto alla disciplina previgente. Agli operatori, nei loro diversi diversi ruoli, spetta applicarle con equilibrio nel rispetto della loro ratio, oltre che della loro lettera, contribuendo costruttivamente, con trasparenza e leale collaborazione, al superamento delle situazioni di crisi.