L’accordo di ristrutturazione non è subordinato al divieto di trattamenti deteriori.
Per la proposta rileva solo la convenienza erariale, senza confronti tra creditori.
di Giulio Andreani
Il Codice della crisi risolve le due principali problematiche interpretative emerse, sotto la vigenza della Legge fallimentare, sul trattamento dei debiti fiscali nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione. Si tratta dell’applicazione, in tale ambito, del «divieto di trattamento deteriore dei crediti fiscali» previsto dal comma 1 dell’articolo 182-ter della Legge e della delimitazione del perimetro all’interno del quale tale divieto rilevava.
Quanto al primo tema, occorre ricordare che l’articolo 182-ter, che disciplinava la transazione fiscale nel concordato preventivo, stabiliva che, «se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore».
In base a tale norma, con la circolare 16/2018, l’agenzia delle Entrate ha ritenuto che il richiamo del comma 5 dell’articolo 182-ter (con riferimento alla transazione fiscale attuata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione) al comma 1 del medesimo articolo deve essere riferito all’intera disposizione recata da questa norma e non solo alla possibilità di proporre la transazione.
Da ciò discenderebbe l’applicazione anche nell’accordo di ristrutturazione delle disposizioni previste dal comma 1 di tale articolo e dunque anche di quella concernente il divieto di trattamento deteriore dei crediti fiscali. Poiché nell’accordo di ristrutturazione non operano i vincoli derivanti dal rispetto della par condicio creditorum né delle cause di prelazione, tale estensione non è mai parsa compatibile con la disciplina di tale istituto, avendo l’amministrazione finanziaria interesse più ad accertare la convenienza della proposta rispetto alle alternative possibili che non a confrontare il trattamento a essa riservato con quello offerto agli altri creditori; il Fisco non ha però mai cambiato idea.
Quanto al secondo tema, qualche tribunale ha in passato sostenuto che il divieto rileverebbe non solo con riguardo ai creditori aderenti all’accordo, ma anche rispetto a quelli rimasti estranei.
Poiché questi ultimi devono essere pagati entro 120 giorni dalla omologazione dell’accordo o dalla loro scadenza se successiva, ne discenderebbe per il debitore l’obbligo di prevedere il pagamento integrale alla scadenza anche dei crediti erariali, e ciò, non esistendo accordi di ristrutturazione senza creditori estranei, svuoterebbe di qualsiasi applicazione l’intero istituto della transazione fiscale, che è stato invece introdotto proprio per consentire un pagamento parziale dei crediti tributari e favorire il risanamento aziendale.
Il Codice della crisi supera queste incertezze interpretative (vere o presunte). Infatti, la transazione fiscale è disciplinata distintamente da due articoli a seconda che venga attuata nel concordato preventivo (articolo 88) o nell’accordo di ristrutturazione (articolo 63), ognuno dei quali è autonomo rispetto all’altro.
Ebbene, l’articolo 63 non prevede alcun divieto di trattamento deteriore dei crediti erariali e non richiama l’articolo 88: sono quindi venute meno le ragioni che hanno originato le problematiche interpretative sopra indicate; inoltre, ai fini dell’approvazione della proposta, ciò che rileva è solo la convenienza per l’erario dell’offerta formulata e non il trattamento comparativo degli altri creditori e, a maggior ragione, di quelli rimasti estranei all’accordo.