La ristrutturazione dei debiti, attuata mediante un concordato preventivo, un accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis L.fall. o un piano attestato di cui all’art. 67 della medesima legge, produce generalmente, in capo all’impresa che si avvale di tali istituti, un duplice effetto: una riduzione in linea capitale dei debiti e una posticipazione della date di pagamento degli stessi, la quale, salvo che per le micro-imprese che non applicano i principi contabili nazionali né quelli internazionali, dà luogo a una ulteriore riduzione dei debiti, dovuta all’attualizzazione del loro valore, che deve essere eseguita – in base ai predetti principi contabili – ogniqualvolta, come normalmente accade, sia convenuto, tra debitore e creditori, un tasso d’interesse contrattuale significativamente inferiore a quello di mercato. In capo ai creditori si verificano effetti del tutto analoghi e speculari.
Inoltre, in base al criterio del costo ammortizzato previsto dai menzionati principi contabili ai fini della valutazione dei crediti e dei debiti, successivamente alla rilevazione contabile del valore attuale di questi ultimi, l’impresa debitrice e i suoi creditori devono iscrivere ratione temporis – nelle proprie scritture contabili e nei propri bilanci – interessi corrispondenti al tasso di mercato e non a quello contrattuale, che sono attivi in relazione ai crediti e passivi con riguardo ai debiti.
Il trattamento fiscale delle riduzioni di debiti tipicamente prodotta dagli istituti sopra menzionati è stato oggetto di approfondimento in precedenti articoli (per un’analisi completa di tale trattamento sia consentito rinviare alla monografia “Transazione fiscale e crisi d’impresa” di G. Andreani e A. Tubelli, Milano 2020, mentre per l’esame di un caso paradigmatico si veda ……………); scopo di questo articolo è invece quello di approfondire gli effetti fiscali delle riduzioni di crediti e debiti dovuti all’attualizzazione degli stessi prodottesi nell’ambito dei medesimi istituti, nonché degli interessi attivi e passivi che, come testé esposto, in applicazione dei principi contabili devono essere contabilmente rilevati successivamente al momento di emersione delle predette riduzioni.
A. Il regime contabile e fiscale ordinario degli utili e delle perdite originati dalle variazioni sostanziali dei termini contrattuali dei debiti e dei crediti
I principi contabili statuiscono che, quando, in costanza del medesimo debito, vi sia una variazione sostanziale dei termini contrattuali del debito esistente (come nel caso della ristrutturazione del debito), si procede alla eliminazione contabile del debito originario con contestuale rilevazione di un nuovo debito. Il valore di iscrizione di quest’ultimo segue le regole di rilevazione iniziale dei debiti valutati sulla base del criterio del costo ammortizzato, tenendo conto della loro attualizzazione se ne sussistono i presupposti. La differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario costituisce un utile o una perdita da rilevare a conto economico nei proventi e negli oneri finanziari (rilevando gli eventuali costi di transazione come parte dell’utile o della perdita connessi alla eliminazione). Pertanto, quando il tasso d’interesse di mercato è significativamente diverso da quello contrattuale, a parità delle altre condizioni, il valore iniziale del debito è inevitabilmente differente da quello del debito estinto, per il che ne discende la rilevazione di un utile (se il tasso di mercato è inferiore a quello contrattuale) o di una perdita (nel caso opposto).
Principi analoghi e speculari a quelli sopra esposti con riguardo ai debiti trovano applicazione relativamente alla iscrizione contabile dei crediti correlativi ai debiti oggetto di ristrutturazione.
Alla luce di quanto rappresentato, l’attualizzazione di cui trattasi genera dunque utili o perdite (cosiddetti “day one profit” o “day one loss”), che sono contabilmente da qualificare come proventi od oneri finanziari e concorrono a formare il risultato di bilancio nell’esercizio in cui vengono imputati al conto economico.
Quanto al trattamento fiscale di tali proventi e oneri, occorre considerare in linea generale che, a norma dell’art. 83 del TUIR, ai fini della determinazione del reddito imponibile d’impresa, per i soggetti diversi dalle “micro-imprese” che redigono il bilancio secondo il codice civile e i principi contabili internazionali o nazionali, valgono i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai predetti principi contabili (cd. “principio della derivazione rafforzata”).
Ne discende che gli utili e le perdite sopra indicati concorrono a formare il reddito imponibile d’impresa in conformità alle risultanze contabili, indipendentemente dalla correlazione individuabile tra essi e gli interessi – attivi o passivi – successivamente rilevati in applicazione del criterio del costo ammortizzato. Infatti, una volta che in base ai principi contabili adottati tali componenti concorrono a formare il reddito integralmente nell’esercizio di imputazione al conto economico, il medesimo trattamento rileva anche ai fini delle imposte sui redditi, posto che anche a questi fini rilevano i criteri di qualificazione e di imputazione temporale previsti dai principi contabili adottati.
Questa conclusione è confortata dal disposto dell’art. 3, comma 2, del D.M. 1 aprile 2009 n. 48, a norma del quale “per i soggetti IAS, i limiti dell’art. 106, commi 1 e 3, del TUIR non si applicano alle differenze emergenti dalla prima iscrizione dei crediti ivi previsti”, discendendone che, essendo esclusi tali differenziali dalla disciplina del citato art. 106, essi dovrebbero essere trattati come plusvalenze/minusvalenze (ancorché aventi natura finanziaria) e non di interessi. Posto che l’art. 2, lettera a), n1), del D.M. 3 agosto 2017 ha esteso alle imprese che adottano i principi contabili nazionali (imprese OIC) la disposizione contenuta nel citato art. 3, comma 2, del D.M. n. 48/2009, la conclusione testé indicata con riguardo ai soggetti IAS/IFRS deve valere anche per le imprese OIC.
Del resto, la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare 28 febbraio 2011 n.7/E, ha affermato (con riferimento ai soggetti IAS/IFRS adopter, ma enunciando una regola che è applicabile anche ai soggetti che applicano i principi contabili nazionali, in ragione dei provvedimenti legislativi successivamente emessi con riguardo a questa tipologia di imprese) che la rilevazione del differenziale in sede di iscrizione iniziale del credito discende dalla qualificazione della fattispecie, per il che “eventuali componenti di prima iscrizione partecipano integralmente alla determinazione del risultato di periodo” e non pro-rata temporis.
Le regole contabili sopra esposte non trovano tuttavia applicazione, e con esse la relativa disciplina fiscale, quando l’attualizzazione di un credito, o di un debito, deriva – in assenza della previsione di interessi ovvero in presenza di una significativa differenza fra il tasso d’interesse di mercato e quello concordato fra le parti – da una ristrutturazione che ha a oggetto crediti che una società vanta verso un’impresa da essa controllata.
In questo caso, infatti, i principi contabili impongono di imputare a una riserva del patrimonio netto il differenziale positivo rilevato dalla società debitrice a rettifica del debito verso la creditrice, mentre quest’ultima è tenuta a rilevare il corrispondente differenziale (negativo) a incremento della sua partecipazione nella partecipata.
In applicazione del già menzionato “principio della derivazione rafforzata”, posto che il testé descritto trattamento contabile discende dalla “qualificazione” delle componenti finanziarie di cui trattasi e nessuna norma tributaria dispone diversamente, esso rileva anche ai fini delle imposte sui redditi.
A.1. Il regime fiscale speciale delle sopravvenienze da esdebitamento previsto dall’art. 88, comma 4-ter, del TUIR
I proventi finanziari derivanti dalla riduzione di un debito dovuta alla ristrutturazione dello stesso costituiscono, ai fini delle imposte sui redditi, una sopravvenienza attiva di cui all’art. 88 del TUIR, per effetto del quale, indipendentemente dal fatto che sulla base delle regole ordinarie concorrano a formare il reddito imponibile – come si è rappresentato – sulla base delle imputazioni al conto economico, essi beneficiano di una detassazione quando vengono conseguiti nell’ambito di uno degli istituti disciplinati dalla legge fallimentare ai fini del superamento delle crisi d’impresa.
Il comma 4-ter, primo periodo, dell’art. 88 del TUIR stabilisce quanto segue: “Non si considerano, altresì, sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti delle imprese in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio …”; il secondo periodo del medesimo comma 4-ter sancisce inoltre che in caso di concordato di risanamento, di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis l.f. o di piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), l.f., la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’art. 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, la deduzione relativa all’agevolazione ACE (maturata nel periodo stesso o in periodi d’imposta precedenti) e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma dell’art. 96.
Tale norma distingue quindi tra (a) riduzioni dei debiti originate da procedure concorsuali con finalità liquidatorie, disciplinate dal primo periodo, e (b) riduzioni dei debiti derivanti da procedure finalizzate alla prosecuzione dell’attività aziendale, cioè di risanamento, regolate dal secondo (e terzo) periodo. Le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare e di concordato preventivo “non di risanamento” (la cui principale tipologia è certamente costituita da quello liquidatorio) sono integralmente e incondizionatamente escluse da imposizione. Alle riduzioni dei debiti derivanti da “concordati di risanamento”, da accordi di ristrutturazione del debito e da piani attestati, invece, è stata applicata una limitazione, allo scopo di impedire la fruizione del doppio beneficio che si realizzerebbe se, per effetto della detassazione della sopravvenienza attiva, emergesse una perdita fiscale utilizzabile per compensare redditi futuri derivanti dalla prosecuzione dell’attività.
Il regime testé richiamato si applica indistintamente a tutte le riduzioni di debiti prodotte dagli istituti previsti dalla legge fallimentare sopra menzionati e quindi sia a quelle discendenti dallo stralcio del capitale sia alle riduzioni dovute all’attualizzazione dei debiti stabilita dai principi contabili, posto che il trattamento contabile di tutte le riduzioni di cui trattasi è il medesimo e la norma fiscale non consente distinzioni di trattamento a seconda della natura della riduzione del debito.
Pertanto, in assenza di perdite fiscali di periodo e pregresse, mentre gli oneri emergenti dall’attualizzazione dei crediti concorrono a formare – in capo all’impresa debitrice – il reddito imponibile come componenti negativi dello stesso nell’esercizio della loro imputazione al conto economico, gli utili corrispondenti alle riduzioni dei debiti discendenti da analogo procedimento di attualizzazione non concorrono a formare il reddito d’impresa, in quanto costituiscono sopravvenienze attive che godono della detassazione prevista dal citato comma 4-ter dell’art. 88 del TUIR (nel caso in cui l’impresa debitrice disponga di perdite fiscali, le sopravvenienze non sono detassate, ma vengono neutralizzate dalle perdite e quindi non danno comunque origine a un debito d’imposta).
Non trova infatti applicazione, con riguardo a tali componenti positivi di reddito, la rilevazione discendente dai principi contabili, essendo essa superata dal disposto del citato art. 88. Infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.M. 1 aprile 2009, n. 48, anche nei confronti dei soggetti per cui vige il “principio di derivazione rafforzata” si applicano le disposizioni del TUIR, qual è quella recata dal predetto art. 88, che “…esentano o escludono, parzialmente o totalmente, dalla formazione del reddito imponibile componenti positivi, comunque denominati….”. Con tale norma il legislatore ha inteso sottrarre il trattamento fiscale di alcuni componenti reddituali, tanto positivi quanto negativi, al regime ordinario che corrisponde a quello contabile in virtù del “principio della derivazione rafforzata”, per assoggettarli a un regime loro proprio, qual è quello che prevede l’esenzione di alcuni di essi o, al contrario, quello che dispone l’indeducibilità di altri, che prescinde totalmente dalle risultanze contabili. Tra questi componenti rientrano certamente quelli costituiti dalle sopravvenienze attive generate dalle suddette riduzioni di debiti.
B. Il regime contabile e fiscale degli interessi attivi e passivi rilevati successivamente alla iscrizione dei crediti e dei debiti oggetto di ristrutturazione
Come si è descritto nella premessa, successivamente al momento in cui sono maturate le sopravvenienze attive costituite dalle riduzioni dei debiti discendenti dall’attualizzazione del valore nominale degli stessi, l’impresa debitrice, in dipendenza dell’applicazione del criterio del costo ammortizzato adottato ai fini della valutazione di tali debiti, deve rilevare interessi passivi sulla base del tasso effettivo, i quali – secondo i principi contabili – devono essere imputati al conto economico. Pertanto, in forza del “principio della derivazione rafforzata” stabilito dal già citato art. 83 del TUIR, essi, così come concorrono a formare il risultato di bilancio, alla medesima maniera dovrebbero concorrere a formare anche il reddito imponibile d’impresa. Occorre tuttavia considerare che tali interessi passivi sono strettamente legati alle sopravvenienze attive generate dalla attualizzazione di cui si è detto, in quanto si manifestano a seguito da tale attualizzazione, in assenza della quale non si produrrebbero; ciò posto, alla luce di tale legame e della correlazione che caratterizza le predette sopravvenienze attive, da un lato, e gli interessi passivi, dall’altro lato, atteso che le prime sono escluse dalla formazione del reddito imponibile, è da ritenersi in linea generale che anche gli interessi passivi a esse correlati non concorrano a formare tale reddito.
È tuttavia doveroso considerare che le sopravvenienze attive cui detti oneri sono correlati non sono integralmente detassate, poiché la loro detassazione comporta – nell’ambito, come si è visto, di alcun tipi di procedimenti – la neutralizzazione delle perdite fiscali, delle eccedenze ACE e degli interessi passivi non dedotti; ciò giustifica che, nella misura in cui esse concorrono a formare il reddito imponibile, pur non dando luogo a debiti d’imposta in quanto compensate da perdite pregresse, eccedenze ACE e eccedenze di interessi, gli oneri finanziari correlativi rilevati negli anni successivi sono deducibili.
Per quanto attiene, invece, agli interessi attivi che vengono rilevati successivamente alla riduzione dei crediti iscritta dall’impresa debitrice in dipendenza dell’attualizzazione di questi ultimi, bisogna tenere conto del fatto che essi; 1) secondo i principi contabili, devono essere imputati al conto economico sulla base del principio di competenza; 2) sono strettamente legati all’onere finanziario originato dalla predetta attualizzazione. Pertanto, posto che detto onere, come si è esposto nel paragrafo A., concorre integralmente alla formazione del reddito imponibile d’impresa, gli interessi attivi di cui trattasi devono anch’essi concorrere integralmente alla formazione di tale reddito.
Si è rappresentato nel paragrafo A. che il trattamento contabile dell’attualizzazione di crediti e debiti oggetto di ristrutturazione differisce da quello testé descritto quando i crediti e i debiti intercorrono tra società legate da un rapporto di controllo.
Tale diversità di trattamento contabile si estende anche agli interessi attivi e passivi rilevati successivamente all’attualizzazione, a incremento del credito e del debito (rispettivamente dalla controllante e dalla controllata) fino al raggiungimento del relativo valore nominale; tali interessi devono infatti essere imputati al conto economico, mentre il valore di bilancio della riserva e della partecipazione rilevate al momento dell’attualizzazione non subiscono variazioni.
In applicazione del più volte menzionato principio della “derivazione rafforzata” dette componenti finanziarie dovrebbero assumere rilevanza anche ai fini delle imposte sui redditi per gli importi imputati al conto economico, sulla base del medesimo criterio di imputazione temporale.
Tuttavia, con il D.M. 3 agosto 2017, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha aggiunto il comma 4-bis all’art. 5 del D.M. 8 giugno 2011, per evitare le asimmetrie che sarebbero potute sorgere in presenza di crediti vantati dalla società controllante verso una controllata (il rapporto di controllo rilevante è quello previsto dall’art. 2359 del codice civile), sterilizzando agli effetti fiscali gli interessi figurativi contabilizzati sulla base dei citati principi, che non verrebbero iscritti in bilancio secondo una rappresentazione giuridico-formale dei negozi giuridici e dei fatti aziendali.
Conseguentemente assumono rilevanza fiscale solo i componenti negativi e positivi imputati al conto economico sulla base degli accordi intercorsi fra le parti, vale a dire gli interessi (attivi e passivi) corrispondenti al tasso contrattuale e non a quello di mercato. Sebbene il disposto del citato comma 4-bis abbia a oggetto, a ben vedere, i componenti finanziari “discendenti da operazioni di finanziamento”, non vi è motivo di non considerarlo applicabile anche ai componenti prodotti dalla ristrutturazione di debiti e crediti, posto che l’effetto sostanziale dell’attualizzazione generata da tale ristrutturazione, qualunque sia l’originaria natura dei crediti e debiti ristrutturati, è del tutto identico a quello causato dall’attualizzazione relativa alle operazioni di finanziamento.