di Giulio Andreani e Paolo Rinaldi
Per il Tribunale di Bari l’approvazione “coattiva” della transazione fiscale è consentita nel concordato preventivo solo nel caso in cui l’agenzia delle Entrate non esprima alcun voto e non anche quando boccia espressamente la proposta.
Secondo il Tribunale pugliese, infatti, il potere di omologare coattivamente la transazione fiscale attribuito dal comma 4 dell’articolo 180 legge fallimentare al tribunale in caso di mancanza del voto del Fisco (sempre che la proposta di transazione sia conveniente e l’adesione erariale determinante ai fini delle maggioranze di cui all’articolo 177), non comprenderebbe «in modo chiaro e univoco e senza che possano sorgere dubbi interpretativi sul punto, l’ipotesi della espressione di un voto contrario».
Ciò essenzialmente per due motivi: (1) in considerazione «del principio in claris non fit interpretatio, in ragione dell’univoco tenore letterale della norma»; (2) perché, essendo irragionevole un trattamento differenziato tra creditori ammessi al voto, non sarebbe possibile superare il voto contrario del Fisco mediante l’applicazione del citato comma 4 dell’articolo 180, atteso che un analogo trattamento non è previsto con riguardo al voto contrario degli altri creditori.
Il primo motivo non convince perché la lettera del citato comma 4 dell’articolo 180 è tutt’altro che chiara e lo dimostra il fatto che sulla sua interpretazione sono stati espressi sia in dottrina sia in giurisprudenza indirizzi tra loro contrastanti; tale norma sarebbe stata chiara nel senso indicato dal Tribunale di Bari, se avesse fatto riferimento alla «mancanza di espressione del voto» e non, come invece fa, alla «mancanza di voto», che di per sé può significare tanto mancanza della pronuncia del creditore quanto mancanza del voto in quanto espresso negativamente.
Poiché la lettera della norma non è chiara, è necessario individuarne il significato attraverso la sua ratio, la quale depone in senso contrario alla conclusione cui è giunto il Tribunale di Bari, essendo essa costituita dall’esigenza di superare «ingiustificate resistenze dell’amministrazione finanziaria», che possono manifestarsi anche con un voto contrario.
Il secondo motivo è contraddittorio, perché si fonda sul presupposto che non sia consentito trattare il voto del Fisco differentemente da quello degli altri creditori, presupposto dal quale, non essendo prevista la riforma del voto degli altri creditori, discenderebbe l’impossibilità di modificare anche quello dell’Agenzia.
Lo stesso Tribunale di Bari ammette tuttavia la possibilità di considerare favorevole il voto erariale nell’ipotesi in cui il Fisco non voti, anche se ciò non è consentito con riguardo agli altri creditori, riconoscendo quindi, in tal caso, la possibilità di quel trattamento differenziato sull’illegittimità del quale ha fondato la propria decisione.
La pronuncia di cui trattasi non pare inoltre costituzionalmente orientata, perché discrimina fra procedure, essendo il superamento del voto contrario del Fisco certamente consentito nel procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento.