Niente regime presuntivo per le aziende che utilizzano istituti del Codice della crisi.
di Giulio Andreani
Il decreto sulla fiscalità della crisi previsto dalla legge delega sulla revisione del sistema tributario (legge 111/2023) interverrà (con una norma sostanzialmente interpretativa) anche sui presupposti della disapplicazione del regime delle cosiddette “società di comodo” nei confronti delle imprese che sono assoggettate o fanno ricorso a uno degli istituti disciplinati dal Codice della crisi.
Le società di comodo
Tale regime, introdotto nell’ordinamento per contrastare l’utilizzo, e soprattutto l’abuso, di soggetti societari che non svolgono un’effettiva attività economica, prevede, infatti, che, quando non si verificano le condizioni di operatività indicate al comma 1 dell’articolo 30 della legge 724/1994, gli ordinari criteri di determinazione del reddito sono sostituiti da criteri presuntivi di redditività dei singoli cespiti della società.
L’applicazione di tale metodo presuntivo presuppone, tuttavia, l’esercizio dell’attività, da parte del contribuente, in condizioni di normalità, atteso che la produzione di un reddito “ordinario” derivante dell’utilizzo “normale” dei beni aziendali, qual è teoricamente quello discendente dai suddetti coefficienti, richiede un altrettanto “ordinario” e “normale” esercizio dell’impresa, che non ricorre quando una società accede a uno strumento di regolazione della crisi.
Le imprese in crisi
L’articolo 30, comma 1, n. 6-ter), della legge 724/1994, a seguito dell’integrazione operata dalla legge 244/2007, esclude già dal test di operatività (previsto per la qualificazione di una società come “di comodo”) le «società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo» e, con il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 14 febbraio 2008, tale disapplicazione è stata estesa, senza necessità di presentare alcuna istanza «alle società assoggettate ad una delle procedure indicate nell’articolo 101, comma 5, del Tuir ovvero ad una procedura di liquidazione giudiziaria».
Tra tali procedure rientrano anche istituti diversi da quelli specificamente menzionati dal citato articolo 30, ma, ciononostante, esse costituiscono solo una parte degli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal Codice della crisi e ciò costituisce una prima lacuna della norma, che risulta incompleta in quanto non adeguata all’introduzione di nuovi istituti.
Inoltre, detta disapplicazione rileva solo con riferimento «ai periodi d’imposta precedenti all’inizio delle predette procedure, i cui termini di presentazione delle dichiarazioni dei redditi scadono successivamente all’inizio delle procedure medesime» e ciò costituisce una seconda lacuna della disposizione, perché è di tutta evidenza che non sussiste alcuna ragione per cui la disapplicazione di cui trattasi dovrebbe rilevare solo in tale periodo, e non anche negli anni successivi; non può infatti essere revocato in dubbio che anche nel corso di tali anni, in cui ha luogo il risanamento, l’impresa certamente opera in condizioni patologiche, che non consentono di poter ritenere fisiologica l’applicazione dei parametri previsti dalla disciplina delle società di comodo.
Il chiarimento
Da qui l’esigenza di precisare la portata della disposizione recata dal comma 1, lettera c), n. 6-ter, dell’articolo 30 della legge n. 724/2004, prevedendo che la disciplina delle società di comodo non si applica alle società assoggettate o che hanno fatto ricorso a uno degli istituti disciplinati dal Codice della crisi e che detta disapplicazione opera dal periodo d’imposta anteriore a quello in cui l’impresa accede allo strumento di regolazione sino al termine del periodo d’imposta in cui viene disposta la chiusura di tale strumento ovvero, relativamente agli istituti per i quali non è previsto un formale provvedimento di chiusura, sino al termine del quarto periodo d’imposta successivo a quello iniziale.
5 febbraio 2024