di Giulio Andreani
L’articolo 37-ter del decreto Sostegni (Dl 41/2021, convertito con la legge 69/2021 pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» del 21 maggio) aggiorna l’articolo 182-bis della legge fallimentare, che disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra imprenditore e creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti, si arricchisce di un comma con cui viene stabilito che, qualora dopo l’omologazione dell’accordo si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore vi può apportare le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione dell’accordo, richiedendo all’attestatore indipendente il rinnovo della sua relazione. In tal caso, il piano modificato e la relazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori, i quali, entro trenta giorni dall’avviso, possono presentare opposizione avanti al tribunale.
La norma ha lo scopo di agevolare l’imprenditore che intenda eseguire l’accordo di ristrutturazione che ha precedentemente stipulato con i suoi creditori (e che il tribunale ha omologato), anche quando eventi economici sopravvenuti all’omologazione determinino la necessità di modifiche sostanziali del piano di risanamento e dunque dell’accordo stesso che su quel piano è fondato.
L’introduzione di questa disposizione è stata certamente indotta dalla pandemia in corso, che, indipendentemente da altri fattori, ha spesso reso inattuabili piani e accordi precedentemente definiti, a causa degli effetti negativi che essa ha prodotto sugli andamenti economici di molti settori, impedendo il realizzo dei risultati – reddituali e finanziari – necessari per conseguire il risanamento e dare esecuzione agli accordi conclusi.
Si consideri, ad esempio, il caso di un’impresa in crisi che ha previsto di coprire il proprio squilibrio finanziario concordando con i suoi creditori la parziale riduzione dei debiti e il pagamento dell’importo residuo nel lungo termine, utilizzando a tal fine i flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa: è evidente che il suo piano e il suo accordo non possono essere rispettati se, a causa dalla pandemia, i suoi ricavi di vendita si sono ridotti e sono conseguentemente diminuite anche le entrate che alimentano i flussi di cassa di cui è stato previsto l’utilizzo ai fini del pagamento dei debiti pregressi. L’utilità della disposizione di cui trattasi è palese: senza di essa la revisione sostanziale del piano avrebbe comportato la necessità di un nuovo piano, di un nuovo accordo e di una nuova omologazione, il cui compimento avrebbe richiesto tempi assai lunghi, che avrebbero limitato l’efficacia delle misure correttive introdotte. Il nuovo piano deve tuttavia essere strumentale all’esecuzione dell’accordo, ancorché con le modifiche che ne derivano, cui i creditori possono opporsi.
Sebbene introdotta a seguito della pandemia, la nuova norma è destinata a trovare applicazione indipendentemente da essa, e quindi a prescindere dal fatto che la necessità di rivedere il piano derivi effettivamente dalla crisi pandemica ovvero da altre cause; tant’è che l’articolo 37-ter introdotto nel decreto Sostegni anticipa di fatto l’entrata in vigore dell’articolo 58 del Codice della crisi e dell’insolvenza (la cui efficacia è stata differita al 1° settembre 2021), che sarà applicabile in via ordinaria e senza limitazioni.
Pur in assenza di una modifica dell’articolo 182-ter, è infine da ritenersi che anche la transazione fiscale, costituendo parte del «fascio di accordi di ristrutturazione» soggetti a omologazione, è oggetto di applicazione della nuova norma.