di Giulio Andreani
Pochi giorni dopo che il Tribunale di Napoli, ammettendo il cram down fiscale anche nel concordato in continuità e così convertendo il voto negativo di Fisco ed enti previdenziali in voto favorevole, aveva omologato un concordato preventivo che non era stato approvato da alcuna classe di creditori (si veda Il Sole 24 Ore del 27aprile), la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 30 aprile, ha confermato l’omologazione di un concordato preventivo in continuità aziendale discendente dal voto favorevole di una sola classe di creditori, prima disposta dal Tribunale di Roma mediante la ristrutturazione trasversale (o cross class cram down).
La lettera d) del comma 2 dell’articolo 112 del Codice della crisi stabilisce che nel concordato in continuità la proposta è approvata, anche senza il voto favorevole di tutte le classi, se l’adesione è espressa «dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione».
Sulla base di una prima interpretazione di tale norma, il concordato potrebbe essere omologato alla duplice condizione che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi e una delle classi assenzienti sia «formata da creditori titolari di diritti di prelazione» o, «in mancanza» di una classe siffatta, da «creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti, rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione, anche sul valore eccedente quello di liquidazione». Quindi, l’espressione «oppure, in mancanza», non si riferirebbe al voto favorevole della maggioranza delle classi (maggioranza, quindi, sempre necessaria), ma alla seconda condizione, concernente la modalità di formazione delle classi (appunto) assenzienti; così, in mancanza di una classe assenziente formata da creditori titolari di diritti di prelazione, occorrerebbe l’esistenza di «almeno una classe» formata da creditori «almeno parzialmente soddisfatti» sul valore eccedente quello di liquidazione.
Per un secondo indirizzo, l’espressione «in mancanza» si riferirebbe, invece, a quando manca la maggioranza delle classi (che, quindi, sarebbe sufficiente ma non indispensabile per omologare il concordato in continuità), nel qual caso basterebbe il voto favorevole anche di una sola classe, purché costituita da quei creditori che, applicandola regola della priorità assoluta non solo sul valore di liquidazione ma anche sull’eccedente (cioè anche sul valore di ristrutturazione) in luogo di quella della priorità relativa su quest’ultimo valore, sarebbero soddisfatti (anche solo in parte) e avrebbero soddisfacimento migliore di quello offerto con la proposta di concordato (grazie al maggior riparto dovuto all’applicazione della regola della priorità assoluta rispetto a quella relativa, sul valore eccedente quello liquidazione). Si tratta, pertanto, di una classe “svantaggiata”,
in quanto destinataria di un pagamento inferiore a quello corrispondente alla virtuale applicazione della regola della priorità assoluta sul valore di ristrutturazione.
La Corte d’appello di Roma, condividendo i motivi della difesa dell’impresa che aveva chiesto la omologazione del concordato (rappresentata da Francesco Marotta e Luigi Amerigo Bottai), ha ritenuto corretta la seconda interpretazione; ciò alla luce della corrispondente disposizione dell’articolo 11 della direttiva Insolvency (la UE2019/1923), da cui l’articolo 112, comma 2 del Codice deriva, la cui articolazione è più chiara della norma nazionale (della quale il decreto correttivo del Codice prevede non a caso la modifica). Pertanto, il concordato preventivo in continuità è omologabile anche se ha il consenso di una sola classe di creditori, purché siano “svantaggiati” o “maltrattati”, nel senso poc’anzi precisato. Tale regola è infatti «parte integrante del generale quadro regolatorio di favore per la ristrutturazione, procedimento che tutela i creditori ma, al tempo stesso, consente di tener conto anche di altri interessi ugualmente pregiudicati dalla crisi d’impresa, in primo luogo la conservazione dei posti di lavoro, il mantenimento dell’impresa nell’interesse dei fornitori, il recupero dell’equilibrio dell’impresa nel generale interesse dell’assetto economico».
9 maggio 2024