di Giulio Andreani
La proposta di transazione fiscale produrrà effetto, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, anche senza l’approvazione del Fisco, se sarà comunque più vantaggiosa per l’Erario rispetto alla liquidazione giudiziale.
È questa una delle principali novità previste dal decreto legislativo sulla disciplina della crisi di impresa approvato dal Consiglio dei ministri la settimana scorsa, grazie alla quale vengono superate due delle più rilevanti criticità applicative dell’istituto della transazione fiscale, più volte evidenziate su queste colonne.
Maggiore convenienza
La prima deriva dall’interpretazione che l’agenzia delle Entrate ha sempre dato (con la circolare 16/2018 e con la prassi)della disposizione (recata oggi dall’articolo 182-ter della legge fallimentare e in futuro dall’articolo 63 del nuovo Codice) secondo cui il pagamento offerto al Fisco deve essere più conveniente di quello che esso riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale. Infatti l’Agenzia ha sempre ritenuto che la sussistenza di tale convenienza non fosse di per sé sufficiente per approvare le proposte di transazione fiscale formulate dalle imprese in crisi e ha rigettato sistematicamente quelle proposte che, pur essendo chiaramente e pacificamente più convenienti per l’Erario di qualsiasi altra soluzione, prevedessero un soddisfacimento inferiore a certe soglie, peraltro prive di qualsivoglia presupposto oggettivo.
L’interpretazione della suddetta disposizione da preferire, alla luce della sua ratio, era invece quella per cui, in presenza della convenienza della proposta per il Fisco, quest’ultimo fosse tenuto ad approvarla, anche in base al principio del buon andamento della pubblica amministrazione stabilito dall’articolo 97 della Costituzione.
Tempi più rapidi
La seconda criticità deriva dal fatto che, al di fuori della caso del concordato preventivo in cui i tempi sono scanditi dal tribunale, l’amministrazione finanziaria è solita impiegare tempi assai lunghi per pronunciarsi sulle proposte di transazione fiscale (in molti casi più di un anno), il che è del tutto incompatibile con le esigenze di rapidità con cui gli interventi previsti dai risanamenti aziendali devono essere eseguiti e spesso compromette le possibilità di recupero del credito da parte dello stesso erario.
Per superare tali criticità il comma 5 dell’articolo 48 del nuovo Codice sulla crisi di impresa prevede opportunamente che il tribunale possa omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria alle proposte di transazione fiscale connesse a tali accordi, quando:
• l’adesione è decisiva al fine del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti stabilite per la omologabilità degli accordi stessi, come normalmente accade;
• e il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dall’impresa debitrice sia, anche sulla base delle risultanze dell’attestazione resa dal professionista indipendente, conveniente rispetto a quello derivante dall’alternativa liquidazione.
L’articolo 63 introduce inoltre, altrettanto opportunamente, un termine di sessanta giorni entro cui il Fisco deve esprimere la propria adesione alla proposta di transazione, allo scopo di agevolare l’applicazione del citato comma 5 dell’articolo 48. Trascorso inutilmente tale termine l’accordo sarà comunque omologabile, se ricorrono le due predette condizioni.