Per la contestazione del decreto omologativo valgono le norme ordinarie
di Giulio Andreani
In merito all’omologazione forzosa della transazione fiscale, la Cassazione – con l’ordinanza 1033/2024 – aveva anche già affermato che essa non dà luogo a un tertium genus di giudizio, diverso da quello “ordinario”, e di conseguenza si applicano le norme previste in generale per il giudizio di omologazione. Ne discende, come rilevato dalla dottrina, che contro il decreto di omologazione l’amministrazione finanziaria è legittimata a proporre reclamo solo qualora si sia opposta all’omologazione della transazione, e non per il semplice fatto di avere espresso voto contrario alla relativa proposta, giacché «la qualità di parte si acquista solo per effetto della costituzione in giudizio».
Interpretazioni contrapposte
A tale indirizzo si era contrapposta la tesi, affermata dalla Corte di Appello di Bari con il decreto 1066/2022, secondo cui le disposizioni sull’omologazione “ordinaria” non avrebbero potuto applicarsi in via analogica alla differente fattispecie del cram down fiscale, con la conseguenza che in questo caso il creditore pubblico avrebbe comunque potuto contestare il provvedimento omologativo, anche in assenza di opposizione.
Quest’ultima tesi è stata tuttavia smentita con la citata ordinanza dai giudici di legittimità, in considerazione della natura dell’istituto del cram down fiscale, testualmente qualificato come «una dirompente novità dell’ordinamento concorsuale attraverso cui (…) si mira a superare le farraginosità burocratiche sovente registrate nell’espressione del consenso da parte dei creditori pubblici». Si tratta di una norma sostanziale del giudizio di omologazione, che non consente di introdurre in tale giudizio regole diverse da quelle “ordinarie”.
Il computo delle maggioranze
Con l’ordinanza 1033/24 era stato inoltre già affermato un ulteriore principio, concernente gli effetti del cram down fiscale nel concordato preventivo, in particolare il fatto che esso debba tradursi:
- nella conversione (o sostituzione), ad opera del tribunale, del voto contrario dei creditori pubblici (o del mancato voto, da intendersi in tale procedura come voto contrario) in un voto favorevole, da considerare come tale nel computo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta concordataria;
- oppure nella sterilizzazione del voto contrario (o del mancato voto) dei creditori pubblici, risolvendosi quindi nel non tenere conto di questi ultimi ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste (sostanzialmente come se, per effetto del cram down, i creditori pubblici fossero esclusi dal voto).
La Cassazione ha stabilito che con l’omologazione forzosa, derivante dal giudizio positivo sulla convenienza della proposta e sul carattere determinante dell’adesione dei creditori pubblici, si «realizza, per una sorta di fictio, il raggiungimento delle maggioranze prescritte (…) anche nel caso in cui esse non fossero state raggiunte per la mancata adesione determinante dell’amministrazione finanziaria».
Si tratta del medesimo effetto espressamente introdotto dal Dlgs 136/2024 nel novellato comma 4 dell’articolo 88 del Codice della crisi: pur prevedendo, in alternativa, anche il criterio della sterilizzazione.
02 Dicembre 2024