di Giulio Andreani
Se un immobile di proprietà di un’impresa fallita viene ceduto all’esito di una trattativa privata successiva all’esperimento di diversi incanti deserti, la congruità, ai fini delle imposte indirette, del prezzo applicato non va valutata sulla base solo del prezzo periziato posto a base d’asta, in quanto dimostratosi inadeguato e fuori mercato, ma tenendo conto anche delle circostanze che hanno influito sulla formazione del prezzo di cessione. La risposta dell’Agenzia delle Entrate non è tuttavia conforme all’art. 44, comma 1, TUR, la cui ratio è quella di escludere la possibilità per gli Uffici finanziari di rettificare il valore degli immobili ceduti quando la determinazione del valore avviene in base ad un procedimento che presenta ampie garanzie di oggettività ed automatismo per la realizzazione del massimo risultato possibile.
L’art. 51, commi 2 e 3, D.P.R. n. 131/1986 stabilisce che, ai fini dell’imposta di registro, la base imponibile degli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari è costituita dal loro valore venale in comune commercio, determinato avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, oppure al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni. L’art. 44, comma 1, del medesimo decreto contempla tuttavia un’eccezione a questa regola generale, disponendo che “per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell’ipotesi prevista dall’art. 587 del Codice di procedura civile, della parte già assoggettata all’imposta”.
Con la circolare 11 ottobre 2007, n. 57/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’art. 51 si applica peraltro alle cessioni di beni immobili nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999, perché, pur avvenendo all’interno di un procedimento ad evidenza pubblica e risultando quindi assistite da forme di pubblicità e da controlli di tipo giudiziale ed amministrativo, esse non rientrano tra le specifiche fattispecie (vendita in sede di espropriazione forzata, vendita all’asta pubblica, vendita tramite contratti aggiudicati o stipulati in seguito a pubblico incanto) per le quali – come detto – la base imponibile è costituita unicamente dal prezzo di aggiudicazione (in deroga al citato principio generale). Con il medesimo provvedimento di prassi, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che, nel processo di determinazione del valore venale in comune commercio dei beni immobili nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria, occorre tenere conto delle vicende e delle circostanze che hanno influito sulla formazione del prezzo di cessione (comportandone la riduzione rispetto al valore di mercato inizialmente stimato), tra cui, per esempio, l’assunzione di particolari ed ulteriori obblighi contrattuali oppure l’esperimento di diversi incanti andati deserti.
A quest’ultimo riguardo, è stato affermato che, qualora a seguito di tale esperimento il bene venga ceduto mediante vendita effettuata a trattativa privata, “non sarebbe congruo fondare acriticamente l’accertamento di maggior valore esclusivamente sulla perizia originariamente redatta per fissare il prezzo da porre come base d’asta del primo incanto. In tal caso, infatti, il prezzo stimato dal perito non è stato ritenuto adeguato dal mercato, all’interno del quale nessun operatore ha reputato conveniente acquistare l’azienda per quel prezzo, né per quelli inferiori di cui agli incanti successivi al primo”.
In considerazione di detta linea interpretativa, è stato chiesto all’Agenzia delle Entrate se, in caso di cessione di un immobile avvenuta privatamente ma dopo più tentativi di vendita all’asta andati deserti (benché resi noti attraverso siti e media di evidenza nazionale), possa ritenersi congruo – e quindi non rettificabile – il prezzo dichiarato in atti in misura corrispondente al prezzo base stabilito per l’ultima asta andata deserta. A questo puntuale quesito l’Agenzia non ha invero risposto, ma si è limitata a ribadire il principio generale già riportato nella circolare n. 54/E/2007, ovverosia che, se un immobile è stato oggetto di trattativa privata successiva all’esperimento di diversi incanti deserti, “gli uffici finanziari, nel rispetto dei limiti temporali del citato articolo 51, non dovranno basare acriticamente l’accertamento di valore sul prezzo periziato posto a base d’asta, in quanto dimostratosi inadeguato e fuori mercato, ma dovranno invece tener conto di tutte quelle circostanze ed elementi che hanno influito sulla formazione del prezzo di cessione e ne hanno giustificato lo scostamento da quello periziato”.
La laconica risposta dell’Agenzia offre comunque lo spunto per tornare sull’ambito applicativo dell’art. 44, comma 1, D.P.R. n. 131/1986, la cui ratio è quella di escludere la possibilità per gli uffici finanziari di rettificare il valore degli immobili ceduti nei casi in cui vi è la garanzia che il prezzo pagato corrisponde al valore del bene in ragione sia del controllo esercitato dall’autorità giudiziaria sulla vendita, sia delle particolari forme che caratterizzano quest’ultima, tese ad assicurare il perseguimento del miglior prezzo possibile (cfr. Cass., sentenza 6 giugno 2007, n. 13217; CTR Toscana 22 maggio 2012, n. 41).
In altri termini, la predetta norma concerne ipotesi in cui la determinazione del valore del bene avviene in base ad un procedimento che, per essere posto sotto il controllo dell’autorità giudiziaria e subordinato a rigorose forme di pubblicità, presenta ampie garanzie di oggettività e di automatismo per la realizzazione del massimo risultato possibile. Per tale ragione la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17613 del 27 giugno 2007, riguardo ad una vendita di immobili nell’ambito della liquidazione fallimentare, ha evidenziato che il relativo prezzo di aggiudicazione soddisfa il requisito del valore venale in comune commercio, atteso che la procedura fallimentare “è volta a perseguire interessi di carattere pubblico (eliminazione delle imprese decotte dal mercato e recupero dei crediti in regime di concorsualità) e le vendite dei beni che vengono effettuate, anche per le forme di pubblicità assicurate dagli organi del fallimento, sono tali da assicurare il miglior prezzo di realizzo ai beni che vengono posti in vendita”.
Contro questa conclusione non può opporsi, in maniera formalistica, che nell’art. 44 non rientrerebbe la vendita effettuata nella procedura fallimentare mediante trattativa privata, non trattandosi di espropriazione forzata, né di vendita tramite pubblico incanto a causa dell’esito negativo dell’asta. Deve considerarsi che tale norma venne scritta prima che, con la riforma recata dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007), il legislatore – in un’ottica di complessiva semplificazione – rivide la fase liquidatoria del fallimento, passando da un sistema che applicava alle vendite fallimentari le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo esecutivo ad un sistema in cui (ai sensi dell’art. 107 l.f.) le vendite sono effettuate dal curatore mediante procedure competitive (a meno che, nel programma di liquidazione, non sia previsto che alle vendite proceda il giudice delegato, secondo le disposizioni del c.p.c. in quanto compatibili).
In particolare, la disciplina sopravvenuta (rispetto al momento di formulazione dell’art. 44) prevede che le vendite immobiliari siano effettuate dal curatore:
– mediante procedure competitive;
– sulla base di stime effettuate da operatori esperti;
– attraverso adeguate forme di pubblicità volte ad assicurare massima informazione e partecipazione.
Si tratta, quindi, di procedure caratterizzate da un sistema incrementale di offerte, finalizzato al raggiungimento del prezzo più alto possibile, da un’adeguata pubblicità ed un’assoluta trasparenza endo-processuale, da regole prestabilite di selezione dell’offerente e da una completa e totale accessibilità a tutti gli operatori interessati, le quali (come risulta dagli atti parlamentari) possono consistere in vendite con incanto, vendite senza incanto, vendite a trattative private, licitazioni private, su cui (ai sensi degli articoli 104-ter e 108 l.f.) il Giudice delegato mantiene penetranti poteri di controllo (sia mediante l’autorizzazione all’esecuzione degli atti conformi al programma di liquidazione, sia mediante il potere di sospendere le operazioni di vendita in presenza di giustificati motivi nonché di impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato).
Si tratta in sostanza di vendite che hanno luogo con garanzie analoghe alle vendite menzionate nell’art. 44 e vengono eseguite nel medesimo contesto giudiziario; pertanto l’affidabilità e l’utilizzabilità del prezzo di vendita del bene ceduto, ai fini dell’individuazione del suo valore di mercato, sono le medesime.