di Giulio Andreani
Le imprese che attuano un risanamento attraverso un piano attestato, un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo, dai quali derivano riduzioni dei loro debiti nelle misure stabilite nella proposta di concordato o negli accordi stipulati, spesso sono successivamente costrette – a causa di andamenti finanziari meno favorevoli di quelli previsti nel piano attestato, nel piano di ristrutturazione o in quello di concordato – a negoziare con i loro creditori ulteriori riduzioni dei medesimi debiti mediante separati accordi, senza ricorrere nuovamente a istituti disciplinati dalla legge fallimentare, allo scopo di adeguare, riducendola, la loro esposizione debitoria ai minori flussi di cassa che in concreto riescono a realizzare e di raggiungere così l’equilibrio finanziario e patrimoniale previsto da piano, nonostante l’emersione di uno scostamento negativo tra l’andamento reale e quello previsto.
Mentre le sopravvenienze attive generate dalle riduzioni di dei debiti prodotte dagli accordi connessi a un piano attestato, dalla omologazione dell’accordo di ristrutturazione o dalla omologazione del concordato sono pacificamente detassate in virtù del comma 4-ter dell’art. 88 del Tuir, altrettanto non può dirsi con riguardo a quelle discendenti da intese raggiunte successivamente con singoli creditori e ciò costituisce un ostacolo al risanamento delle imprese, venendo il beneficio dell’ulteriore esdebitazione ridotto delle imposte sui redditi che su tale esdebitazione si rendono dovute, seppur con un necessario distinguo a seconda che ciò accada nell’ambito di un concordato con cessione dei beni ovvero nell’ambito di un altro tipo di concordato e di un accordo di ristrutturazione.