di Giulio Andreani
Tanto tuonò che piovve. Ancor prima che entrasse in vigore, il 15 novembre 2021, era agevole prevedere
che la composizione negoziata della crisi non avrebbe avuto un’adeguata applicazione, a causa della
mancata previsione di un istituto atto a consentire la riduzione e la dilazione di pagamento dei debiti fiscali
e previdenziali nella misura necessaria per consentire il risanamento dell’impresa debitrice, permettendo,
al tempo stesso, all’agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali il più efficace recupero dei propri crediti.
A tale lacuna pone rimedio il decreto legge sull’attuazione del Pnrr (la cui approvazione in Consiglio dei
ministri è attesa domani) che prevede, nella sostanza, l’estensione della transazione fiscale alla
composizione negoziata della crisi (si veda il Sole 24 Ore di ieri). Esso stabilisce infatti che, nel corso delle
trattative avviate con l’istanza di accesso alla composizione negoziata, l’imprenditore può formulare
all’amministrazione finanziaria, all’Inps e all’Inail proposte finalizzate al raggiungimento di accordi
transattivi aventi a oggetto il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi.
Sinora l’applicazione della transazione fiscale era stata limitata al concordato preventivo e all’accordo di
ristrutturazione dei debiti, in cui è previsto il giudizio di omologazione, ed esclusa negli istituti di
regolazione della crisi che non contemplano tale giudizio, sul presupposto che in assenza di un efficace
controllo dell’Autorità giudiziaria le ragioni erariali non sarebbero state adeguatamente tutelate e che, solo
attraverso il procedimento di omologazione, sarebbe stato assicurato il necessario contemperamento
dell’interesse erariale alla corretta e completa esazione dei tributi con quello della prosecuzione
dell’attività aziendale. Tuttavia, la disciplina della composizione negoziata ha previsto sin dalla sua
introduzione che il tribunale può sia autorizzare atti particolarmente significativi, quali sono quelli
concernenti la contrazione di finanziamenti prededucibili e la cessione dell’azienda (articolo 22 del Codice
della crisi), sia provvedere in merito alle misure protettive e cautelari richiestegli dal debitore (articolo 19).
La natura dell’istituto non impedisce quindi di per sé un intervento dell’Autorità giudiziaria che, assicurando
una maggior tutela del credito erariale e l’assenza di pregiudizio per l’intero ceto creditorio, abbia a oggetto
un accordo transattivo relativo al trattamento dei crediti fiscali, compresi quelli inerenti ai tributi, e dei
crediti contributivi.
È quanto prevede il decreto Pnrr, il quale stabilisce che l’imprenditore può proporre all’amministrazione
finanziaria e agli enti previdenziali tale accordo transattivo, a patto che:
a) il soddisfacimento dei crediti di cui trattasi non sia inferiore a quello che i creditori pubblici riceverebbero
in caso di liquidazione giudiziale del debitore: si tratta dunque di una condizione del tutto corrispondente a
quella stabilita relativamente alla transazione fiscale da attuare nel contesto dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti e nel concordato preventivo in continuità aziendale;
b) la composizione negoziata si concluda mediante il raggiungimento: 1) di un contratto con uno o più
creditori (pertanto anche solo con il Fisco), che, sulla base della relazione dell’esperto, risulti idoneo ad
assicurare la continuità aziendale per un periodo inferiore a due anni; ovvero 2) di un accordo sottoscritto,
oltre che dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto, con cui quest’ultimo dà atto che il piano di
risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza;
c) la proposta di accordo sia raccolta in un processo verbale sottoscritto dalle parti, dal giudice e dal
cancelliere dopo che il giudice, sentito l’esperto sul fatto che le trattative sono in corso e si stanno
svolgendo secondo correttezza e buona fede, ne ha valutato la convenienza rispetto alla liquidazione
giudiziale e ha verificato l’assenza di pregiudizio per gli altri creditori.
La norma stabilisce, infine, che al procedimento si applica il comma 2 dell’articolo 22 del Codice della crisi.
Pertanto, dopo il preliminare raggiungimento di un’intesa tra il Fisco (e/o gli enti previdenziali) e
l’imprenditore, quest’ultimo deve richiedere un apposito provvedimento al tribunale, il quale si pronuncia
in composizione monocratica, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie,
eventualmente nominando un consulente tecnico; avverso tale pronuncia può essere proposto reclamo.
L’accordo fra contribuente e Fisco è pertanto necessario, ma non sufficiente, nel senso che può essere
sottoscritto solo in presenza di una valutazione positiva dello stesso da parte del tribunale, anche a seguito
di reclamo, ma nessuna riduzione e/o dilazione di pagamento dei debiti tributari e contributivi può invece
prodursi se manca l’accordo con i creditori pubblici, indipendentemente dalla valutazione positiva di
quest’ultimo che potrebbe essere espressa dal tribunale. In altri termini, la transazione fiscale viene estesa
alla composizione negoziata, ma senza possibilità di cram down, il che pare tuttavia giustificato dalla natura
dell’istituto a cui viene estesa.