di Giulio Andreani
Convenienza per l’erario della proposta di transazione fiscale (articolo 182-ter della legge fallimentare) a rilevanza ridotta. È quanto emerge dalla risposta del ministero dell’Economia in commissione Finanze alla Camera al question time di Carlo Giacometto (Forza Italia). L’interrogante aveva censurato la condotta di quelle direzioni regionali dell’agenzia delle Entrate che stanno sistematicamente rigettando le proposte di transazione fiscale anche quando sono obiettivamente più convenienti per il Fisco dell’alternativa fallimentare, generando inoltre trattamenti diversi da regione a regione, in piena disapplicazione della circolare 34/E/2020.
Il Mef ha fatto presente che quello della convenienza è uno dei criteri di valutazione della proposta, ma non l’unico, e che esso assume rilevanza solo in conseguenza del positivo esperimento delle attività propedeutiche alla decisione, le quali attengono all’attendibilità dell’attestazione resa da un professionista indipendente, alle reali prospettive di realizzabilità del piano di risanamento, nonché a situazioni di prolungato e sistematico inadempimento degli obblighi fiscali.
Su questo punto bisogna essere chiari: l’intera evoluzione dell’articolo 182-ter, così come le modifiche recentemente apportate agli articoli 180 e 182-bis (l’ultima delle quali il 24 agosto scorso), rivelano che quello della convenienza costituisce il principio cardine della disciplina della transazione fiscale, e non uno dei criteri di valutazione della stessa; tant’è che, se la transazione conveniente non viene approvata dall’amministrazione finanziaria, vi provvede il tribunale forzosamente, in via surrogatoria.
Non vi è dubbio che tale convenienza deve risultare da un’attendibile attestazione, che il piano su cui si fonda la proposta deve essere fattibile e che il Fisco ha il diritto di dissentire dalle risultanze dell’attestazione circa la sussistenza di tali presupposti, esprimendo e documentando con chiarezza i motivi della propria censura. Tuttavia, se la proposta è conveniente e il piano è fattibile, all’agenzia delle Entrate non compete una vera e propria discrezionalità, ma soltanto una «discrezionalità vincolata», cioè finalizzata ad assicurare il miglior recupero dei crediti tributari, indipendentemente da comportamenti illeciti degli amministratori dell’impresa debitrice, che rilevano solo ai fini della determinazione delle somme eventualmente recuperabili in caso di fallimento e delle responsabilità personali di chi li ha compiuti. Il principio non va confuso con il suo presupposto applicativo fattuale.