di Giulio Andreani e Angelo Tubelli
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta, anticipando le innovazioni apportate dal Codice della crisi e dell’insolvenza, su una delle questioni più controverse e rilevanti tra quelle concernenti il concordato preventivo in continuità aziendale: i criteri di attribuzione dei flussi generati dalla continuità aziendale ai creditori e in particolare all’Agenzia delle Entrate, alla quale deve essere presentata una proposta di transazione fiscale ogniqualvolta i crediti tributari non vengano soddisfatti integralmente e senza dilazione (cioè sostanzialmente sempre).
Il più importante dei presupposti di approvazione di tale proposta di transazione fiscale è costituito dalla convenienza della stessa per l’Erario, la quale emerge dal confronto tra l’ammontare del soddisfacimento offerto al Fisco e quello che questi riceverebbe in alternativa, a seguito della liquidazione dell’impresa debitrice. La determinazione del soddisfacimento alternativamente discendente dalla liquidazione richiede, a sua volta, la determinazione del valore del patrimonio del debitore realizzabile in tale ipotesi e l’individuazione dei criteri di ripartizione dello stesso fra i creditori e quindi della parte di esso attribuibile all’Amministrazione finanziaria. Tanto sulla determinazione del patrimonio di liquidazione dell’impresa debitrice quanto sui criteri del suo riparto sono state espresse in dottrina e in giurisprudenza tesi contrastanti e nel corso degli ultimi anni anche l’Agenzia delle entrate ha espresso al riguardo la propria opinione.