Il testo definitivo del terzo correttivo approvato dal Cdm supera le incertezze della giurisprudenza. Il tribunale può sbloccare l’accordo se è migliore dell’alternativa liquidatoria
di Giulio Andreani
Il decreto correttivo del Codice della crisi approvato in via definitiva dal Cdm mercoledì 4 settembre modifica il trattamento dei crediti tributari e contributivi.
Come anticipato (si veda l’articolo «Codice della crisi, nuove soglie per il cram down») cambiano le soglie di soddisfacimento minimo necessario ai fini dell’omologazione forzosa della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Il dl 69/2023 le aveva stabilite nella misura del 30% del debito costituito da tributi, sanzioni e interessi, qualora agli accordi di ristrutturazione avessero aderito creditori, diversi da quelli pubblici, titolari di crediti pari almeno a un quarto dell’intera esposizione debitoria, e in quella del 40% negli altri casi. Il testo del correttivo approvato in prima lettura le aveva modificate, stabilendole, rispettivamente, nelle percentuali del 60 e del 70 per cento dell’importo dei soli tributi, senza sanzioni e interessi, le quali corrispondevano al 42 e al 50 per cento circa dell’intero debito; il decreto definitivamente approvato le ha rideterminate rispettivamente nel 50 e nel 60 per cento, che nella generalità dei casi corrisponderanno al 37 e al 44 per cento circa del debito complessivo per tributi, sanzioni e interessi. Si tratta di una riduzione certamente opportuna.
Concordato preventivo con continuità
Il correttivo, inoltre, risolve il principale contrasto interpretativo emerso, dall’introduzione del Codice della crisi, in merito al concordato preventivo con continuità aziendale, che concerne l’omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva in tale tipo di procedura, in prevalenza esclusa dalla giurisprudenza. Per risolverlo è stato modificato l’articolo 88 del Codice, stabilendo che il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, se il soddisfacimento di detti creditori risulta non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Ricorrendo questa ipotesi (cioè quella della non deteriorità della proposta) – prosegue la norma – «il tribunale omologa se tale adesione (quella del Fisco o degli enti, ndr) è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista, ai fini della omologazione, dal primo periodo dell’articolo 112, comma 2, lett. d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1» (cioè quelle dei creditori pubblici).
Omologazione forzosa a doppio meccanismo
Il tribunale può pertanto disporre l’omologazione forzosa anche nel concordato in continuità, ma l’uso della congiunzione (con valore disgiuntivo) «oppure», presente nel secondo periodo del citato comma 4, rischia di generare nuove incertezze. Per evitarle (il rischio era stato rilevato anche dal Consiglio di Stato nel proprio parere sul correttivo), sebbene il testo del decreto approvato in via definitiva non presenti, relativamente all’articolo 88, modifiche rispetto a quello approvato in prima lettura, la relazione illustrativa (che a questo riguardo si rivela particolarmente utile) contiene un’integrazione con cui si precisa che si è voluto prevedere due meccanismi utili per calcolare le maggioranze: uno (criterio della sterilizzazione) che esclude le classi dei creditori pubblici per ottenere la maggioranza (quindi dal numero di classi necessario affinché la maggioranza sia raggiunta) e tiene conto solo delle
altre classi; l’altro (criterio della conversione) che non le considera fra i dissenzienti, fermo restando il numero di classi esistenti.
Significa che se si assumono, ad esempio, cinque classi, due delle quali sono favorevoli e tre, compresa quella del Fisco, contrarie, con il primo criterio si esclude dal computo questa classe: due classi risultano così favorevoli e due contrarie e dunque la maggioranza non è raggiunta; con il criterio della conversione, invece, il voto contrario del Fisco è considerato favorevole e dunque la maggioranza è raggiunta, perché tre classi risultano favorevoli su cinque. Il fatto è che questo secondo criterio assorbe sempre il primo, che si rivela inutile.
5 Settembre 2024