di Giulio Andreani
Il potere del tribunale di porre rimedio ai provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione fiscale e contributiva, adottati dal Fisco e dagli enti previdenziali in contrasto con l’interesse fiscale ovvero con l’interesse concorsuale, è stato recentemente messo in luce dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite con l’ordinanza n. 8504 del 25 marzo 2021. In base al principio stabilito con tale provvedimento, infatti, il tribunale fallimentare ha il potere di bilanciare la discrezionalità degli enti impositori, sia verificando la conformità del diniego alla legge e all’interesse fiscale, sia bilanciando l’interesse fiscale espresso con l’interesse concorsuale, che è in ogni caso prevalente.
Le conseguenze
Da questo principio derivano rilevanti effetti:
– Il primo è che l’impresa che non si vede approvare una proposta di transazione fiscale o contributiva non può essere privata di una tutela giurisdizionale, al contrario di quanto hanno sempre ritenuto l’agenzia delle Entrate, l’Inps e l’Inail;
– il secondo è che la giurisdizione compete al tribunale fallimentare e non al giudice tributario o al giudice del lavoro;
– il terzo è che i novellati articoli 180 e 182-bis della legge fallimentare devono essere interpretati nel senso che il potere del tribunale di omologare la transazione fiscale e contributiva sussiste non solo quando i suddetti enti non si pronunciano sulle rispettive proposte, ma anche quando le rigettano espressamente;
– il quarto è che il tribunale fallimentare, nell’esercitare tale potere, deve considerare l’interesse concorsuale prevalente su quello fiscale.
La regola della priorità assoluta nella ripartizione dell’attivo
Un altro effetto riguarda l’applicazione, ai fini del soddisfacimento dei crediti tributari (e contributivi) nell’ambito del concordato preventivo, della regola della priorità assoluta, in base alla quale il pagamento di un creditore è consentito solo se quelli di rango superiore sono stati integralmente soddisfatti.
Questa regola, affermata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 8 giugno 2020, n. 10884, ha valenza generale e quindi riguarda tutti i crediti. Tuttavia, sussistono buone ragioni per escludere che essa debba essere applicata anche ai crediti tributari (e contributivi) in ragione dell’interesse fiscale (l’articolo 182-ter della legge fallimentare individua del resto nella convenienza il criterio che deve essere adottato – sia dal Fisco e dagli enti, sia dal tribunale ai sensi del comma 4 dell’articolo 180 – ai fini dell’approvazione della proposta di transazione fiscale e contributiva) e dell’interesse concorsuale. Tale proposta può essere infatti conveniente per il Fisco e gli enti previdenziali anche se ne prevede un soddisfacimento inferiore a quello che in astratto spetterebbe a tali creditori in base all’applicazione della regola della priorità assoluta.
È quel che accade ogniqualvolta la prosecuzione dell’attività aziendale del debitore consente, attraverso la produzione dei flussi gestionali, di soddisfare i suddetti crediti in misura più elevata rispetto a quella derivante dalla liquidazione dell’impresa, ma tale risultato è raggiungibile solo se una parte di tali flussi è destinata anche al pagamento di crediti di rango inferiore rispetto a quelli erariali. Se invece i flussi vengono utilizzati esclusivamente per il pagamento dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, il concordato non trova il consenso dei creditori di rango inferiore e non viene approvato: conseguentemente l’attività non può proseguire e così i crediti fiscali e contributivi finiscono per poter essere soddisfatti solo nella (minor) misura discendente
dalla liquidazione.
In sintesi, la deroga alla regola della priorità assoluta è in questi casi giustificata dall’interesse fiscale e, al tempo stesso, dall’interesse concorsuale, che, come hanno affermato le Sezioni Unite, è prevalente.