di Giulio Andreani e Angelo Tubelli

1. Premessa

Con riferimento alla proposta di transazione fiscale nel concordato preventivo, l’art. 182-ter comma 1, della legge fallimentare sancisce il cosiddetto “divieto di trattamento deteriore”, per cui, “Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore (…)” e, corrispondentemente, per i crediti erariali chirografari prevede l’obbligo del trattamento più favorevole. Con la circolare n. 16/E del 27 luglio 2018 (par. 5.2) l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la proposta transattiva presentata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti deve rispettare le medesime regole stabilite per il concordato preventivo, con conseguente applicazione del “divieto di trattamento deteriore del credito tributario rispetto a quello offerto ai creditori di pari o inferiore rango in funzione della qualità del credito”.
La rilevanza di detto divieto anche negli accordi di ristrutturazione (che – come si dirà infra – appare peraltro incerta o, comunque, discutibile) pone una delicata questione interpretativa con riguardo alla corretta individuazione del termine di comparazione. In particolare, occorre chiedersi se nel ceto creditorio da assumere a raffronto rientrino anche i creditori non aderenti (in quanto dissenzienti o non coinvolti), vale a dire i cosiddetti “creditori estranei” o “non aderenti”.

2. Le regole di trattamento dei creditori negli a.d.r.

Per sciogliere questo dubbio, pare opportuno prendere le mosse dalla regolamentazione del trattamento dei creditori sancita in generale dall’art. 182-bis, in cui è andato a inserirsi il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari.
In merito si rammenta che, quanto al contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 182-bis non prevede alcunché, ma lascia all’autonomia negoziale delle parti la totale libertà nella scelta delle modalità con cui addivenire alla ristrutturazione della posizione debitoria dell’impresa in crisi, fermo restando il limite della meritevolezza della causa del contratto (imposta dall’art. 1322 c.c.) e dell’inammissibilità della proposta eccessivamente generica (prevista dall’art. 1346 c.c.) [1].
Siffatta autonomia si riflette non solo sull’oggetto dell’accordo di ristrutturazione (che può perciò consistere nella riduzione del credito o nella sua conversione in capitale di rischio, nella mera dilazione dell’obbligazione di pagamento, in una datio in solutum, in un accollo, nella concessione di garanzie, in una vera e propria transazione, ecc.), ma anche – e soprattutto, per quanto qui interessa – sulle regole di trattamento dei creditori che vi aderiscono. Nell’ambito degli accordi ristrutturazione, infatti, non operano i vincoli derivanti dal rispetto della par condicio creditorum né delle cause di prelazione [2] (e dunque nemmeno della “regola della priorità assoluta” che ne discende [3]), tanto da condurre ad affermare che “gli accordi di ristrutturazione sono la negazione della regola della parità di trattamento” [4] e che “negli accordi non ha senso parlare di rispetto della graduazione, posto che all’interno degli stessi è ben possibile raggiungere accordi individuali che comportino trattamenti differenziati tra i vari creditori, senza alcuna necessità di rispettare il rango rispettivo, ed anzi ammettendosi trattamenti migliori a creditori in posizione deteriore” [5].
In altri termini, a differenza di quanto accade nell’ambito del concordato preventivo, in base all’art. 182-bis diventa legittimo falcidiare un creditore privilegiato e allo stesso tempo soddisfare un creditore chirografario in misura integrale, nonostante il patrimonio del debitore risulti capiente per soddisfare integralmente il primo [6]. Mancando una regolazione concorsuale dei crediti (e dunque un’apertura formale del concorso) il debitore può trattare con i creditori liberamente, senza essere obbligato ad estendere il trattamento riservato a uno di essi ad altri che presentino condizioni omogenee; per altro verso il creditore è legittimato ad accettare il trattamento offertogli indipendentemente da quello offerto agli altri (anche – si ripete – in presenza di condizioni omogenee), rilevando unicamente la decisione che ciascun creditore liberamente assume circa la convenienza o meno dell’accordo prospettato rispetto a diverse soluzioni esperibili.
L’assenza nel diritto positivo di una qualsiasi regola che imponga il rispetto della par condicio creditorum negli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata – implicitamente – confermata dalla stessa Corte di Cassazione anche con le sentenze con cui ha attribuito a detti accordi natura di procedura concorsuale [7], contro l’orientamento manifestato dalla prevalente giurisprudenza di merito che negava e tuttora nega [8] loro una tale natura proprio perché non si realizza una regolazione concorsuale del dissesto e non risulta operante un rigoroso meccanismo di rispetto della par condicio creditorum. Tale principio non è stato affatto disconosciuto dai giudici di legittimità, che infatti hanno affermato la natura di procedura concorsuale agli accordi de quibus sulla base di una diversa nozione di “concorsualità” di derivazione europea (definita “moderna concorsualità”), che è caratterizzata – nel suo nucleo essenziale – (i) dall’intervento dell’autorità giudiziaria, (ii) dal formale coinvolgimento di tutti i creditori e (iii) dalla pubblicità derivante dalla pubblicazione obbligatoria nel registro delle imprese, e dunque senza alcun pregiudizio per l’assenza delle regole del concorso.
Al di fuori delle eccezioni espressamente previste, le pattuizioni concernenti il trattamento del ceto creditorio contenute negli accordi di ristrutturazione non possono vedere coinvolti i creditori che non li hanno sottoscritti e che, dunque, sono rimasti ad essi estranei, non potendo sorgere per effetto di essi alcuna nuova o diversa obbligazione nei confronti dell’impresa debitrice, in conformità con il principio generale sancito dall’art. 1372 c.c., in forza del quale il contratto vincola soltanto le sue parti. Le obbligazioni dell’impresa debitrice nei confronti dei creditori estranei restano, dunque, identiche a quelle sorte – in base al diritto comune – prima del ricorso all’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti; il debitore non può perciò offrire ad essi alcun trattamento diverso, per il semplice fatto che ai creditori estranei non offre alcun trattamento.
Come rilevato in dottrina, gli accordi di cui all’art. 182-bis perseguono “l’obiettivo della soddisfazione di ‘tutti’ i creditori consenzienti, sia pure con modalità differenziate per ciascuno di essi, restando salva comunque la intangibilità delle ragioni creditorie di quelli ‘estranei’” [9]. Sebbene le pattuizioni contenute negli accordi di ristrutturazione non possano coinvolgere direttamente i creditori che non vi hanno aderito e sebbene debbano essere dirette a rimuovere lo stato di insolvenza o di crisi dell’impresa, il ricorso a tale istituto potrebbe comunque risultare produttivo di effetti pregiudizievoli per i creditori estranei. Basti pensare:
– all’automatic stay per cui, nei sessanta giorni dalla data di loro pubblicazione, i creditori (e, in particolare, quelli non aderenti) non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati, applicandosi l’art. 168, comma 2, L. fall.;
– all’esenzione da revocatoria di cui godono gli atti, le garanzie e i pagamenti posti in essere in esecuzione degli accordi omologati, con riduzione della garanzia patrimoniale generica in caso di successivo fallimento della debitrice;
– all’eventualità che alcune previsioni contenute nell’accordo o nel piano (su cui il primo si fonda) non risultino adeguate a consentire la soddisfazione dei crediti vantati dai non aderenti [10].
In altri termini, anche se per i non aderenti l’accordo di ristrutturazione costituisce res inter alios acta, essi ne “possono – di fatto – essere danneggiati ove le pattuizioni ivi contenute non fossero adeguate per consentirne la soddisfazione” [11]. Il solo rimedio dell’opposizione e gli strumenti di tutela ordinari devono essere stati reputati non sufficienti dal legislatore, che ha perciò imposto, tra i requisiti per l’omologazione, l’idoneità dell’accordo “ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini:
a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;
b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione”.
Pertanto, condizione essenziale per l’ottenimento dell’omologazione è, tra le altre, quella di garantire l’integrale soddisfazione dei crediti dei non aderenti nel rispetto delle pattuizioni originarie con essi convenute, fatta eccezione per la “breve moratoria accordata dalla legge” [12] nei termini testé indicati, rispondente all’evidente funzione di attribuire all’impresa debitrice più tempo per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie al pagamento dei creditori estranei. L’idoneità del piano e/o dell’accordo di ristrutturazione ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, oltre ad essere affermata in detti documenti, deve essere specificamente attestata dall’esperto indipendente nella propria relazione, proprio per evitare il rischio che dall’omologazione dell’accordo e dagli effetti protettivi che ne derivano in capo all’impresa debitrice possa conseguire una qualche forma di pregiudizio per i creditori rimasti estranei. E sul fatto che il controllo di legalità sostanziale del giudice si debba incentrare proprio sulla effettiva sussistenza di tale garanzia convergono sia la giurisprudenza di legittimità che comprende gli accordi di ristrutturazione tra le procedure concorsuali, sia la giurisprudenza di merito che ne sostiene la natura privatistica.
Come evidenziato nel provvedimento adottato dal Tribunale di Udine il 20 maggio 2021, “l’integrale pagamento dei creditori estranei all’accordo di ristrutturazione nei termini inderogabilmente fissati dal legislatore concorsuale costituisce il contrappeso che consente al debitore di predisporre un piano ‘in autonomia’ perché esso, diversamente dall’ipotesi del concordato preventivo, non viene sottoposto all’approvazione dei creditori”. Ed è nell’impegno del debitore a garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni nei termini originariamente pattuiti (fatta salva la diversa scadenza prevista direttamente dalla legge) [13], che la giurisprudenza di legittimità ha rinvenuto il coinvolgimento formale di tutti i creditori nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, essendo la suddetta previsione normativa rivolta proprio ai creditori rimasti estranei.
Ne discende che nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti da omologare ai sensi dell’art. 182-bis l’effetto esdebitatorio non si verifica secondo i canoni disposti dall’art. 184 L. fall. in tema di concordato preventivo, ma in funzione del perfezionamento dell’accordo stesso (e, quindi, solo in forza delle previsioni in esso contenute), sicché “non si crea alcuna soluzione di continuità tra crediti ‘anteriori’ e crediti ‘posteriori’” [14], né assume rilevanza (almeno in teoria) la separazione tra creditori privilegiati e creditori chirografari.
L’unica distinzione che assume rilevanza nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in base alle regole stabilite dall’art. 182-bis, è quella tra creditori aderenti e “creditori estranei”.

3. Le ragioni per considerare irrilevanti i creditori estranei

È dunque questo il contesto normativo in cui è andata a innestarsi la regola contenuta nell’art. 182-ter, comma 1, con riguardo al divieto di trattamento deteriore per i crediti tributari (e contributivi) di cui si è riferito in premessa, sempre che sia da ritenere operante anche con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti come sostiene l’Agenzia delle Entrate e parte della dottrina [15], secondo cui l’autonomia dei rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria troverebbe un limite oggettivo nelle previsioni contenute nell’art. 182-ter, come sarebbe avvalorato (sotto il profilo testuale) dall’incipit del comma 5, il quale non avrebbe semplicemente lo scopo di estendere la possibilità di utilizzare l’istituto della transazione fiscale in tale ambito, ma anche quello di richiamare integralmente la disciplina prevista dai precedenti commi. Nel contesto degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-ter, dunque, le disposizioni contenute nel comma 1 dell’art. 182-ter (tra cui il divieto di trattamento deteriore) assumerebbero carattere di specialità rispetto alla regola generale di trattamento dei creditori aderenti, che è quella appunto di non contemplare regole.
Seguendo questo solco interpretativo, il debitore è tenuto a rispettare i medesimi vincoli sanciti nel comma 1 dell’art. 182-ter con riguardo al concordato preventivo, con la conseguenza che tale proposta:
a) può prevedere, nei limiti di incapienza dell’attivo, il pagamento parziale e/o dilazionato delle somme dovute alle agenzie fiscali;
b) deve però offrire:
b.1) per i crediti tributari assistiti da privilegio, una percentuale, tempi di pagamento ed eventuali garanzie in misura non deteriore rispetto a quanto viene offerto ai creditori titolari di crediti con un grado di privilegio inferiore (o a quelli aventi una posizione giuridica e interessi economici omogenei ai crediti delle agenzie fiscali);
b.2) per i crediti tributari aventi natura chirografaria, un trattamento non differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari oppure, in caso di trattamento differenziato tra i diversi creditori, quello più favorevole.
Tuttavia, indipendentemente dalla condivisione di tale tesi, ai fini del confronto tra il trattamento offerto ai crediti tributari e i trattamenti “offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore” o agli altri creditori chirografari, occorre tenere ben presente la fondamentale e preliminare distinzione tra creditori discendente dall’art. 182-bis, ovverosia quella tra creditori aderenti e “creditori estranei” vigente nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, perché questi ultimi devono restare assolutamente irrilevanti ai fini del suddetto confronto. Depongono a favore di questa conclusione una serie di ragioni.
Il primo motivo è di ordine letterale, giacché – come evidenziato nel precedente paragrafo – ai creditori estranei non è offerto alcun trattamento dall’imprese debitrice. Infatti, negli accordi di ristrutturazione dei debiti l’obbligo di soddisfazione integrale dei creditori estranei è già previsto dall’art. 182-bis (seppur con la sostituzione ex lege delle scadenze di pagamento), e dunque in tale contesto l’impresa debitrice si impegna a garantirne il pagamento integrale o, meglio, a garantire che attraverso la concreta adozione delle misure previste nel piano di risanamento i creditori rimasti estranei saranno soddisfatti per intero. Lo dimostra altresì il contenuto necessario della relazione dell’esperto indipendente, al quale è richiesto di attestare – sempre dall’art. 182-bis – che l’accordo di ristrutturazione (oltre a essere attuabile) è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini previsti per legge [16], risultando acclarata l’“esistenza dei mezzi finanziari necessari per fare fronte allo scaduto” [17]: altrimenti detto, il professionista indipendente deve attestare “l’inidoneità a pregiudicare la realizzazione dei crediti rimastivi estranei” [18].
Vi è poi un’argomentazione di ordine logico-sistematico a supportare l’esclusione dei creditori estrani dalla comparazione di cui trattasi, in quanto, posto che il contenuto degli accordi di ristrutturazione non può che riguardare il trattamento dei creditori che vi hanno aderito, il trattamento dei crediti tributari previsto nella proposta di transazione fiscale non può che avere come termine di raffronto il trattamento previsto per gli altri creditori coinvolti nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di cui la transazione fiscale fa parte. La ratio del divieto di trattamento deteriore, infatti, è quella di impedire al debitore di scegliere di offrire un trattamento preferenziale, rispetto a quello offerto all’erario, a creditori le cui ragioni di credito risulterebbero postergate in caso di regolazione concorsuale; mentre il pagamento integrale dei creditori estranei non rappresenta in alcun modo il frutto di una scelta del debitore, ma è imposto dalla legge. Visto che per i creditori estranei non è strutturalmente previsto alcun trattamento “speciale” o particolare nell’ambito degli accordi cui trattasi, è quindi del tutto naturale ritenere che la comparazione sia meramente “interna” e vada quindi effettuata attraverso il confronto tra la misura della falcidia proposta per i crediti tributari e la misura della falcidia proposta per gli altri crediti di rango inferiore regolati anch’essi nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis.
Vi è infine un ulteriore motivo concernente la coerenza e l’utilità della norma de qua che conduce a escludere dal confronto i creditori rimasti estranei all’accordo. Infatti, se il pagamento integrale imposto dalla legge per i creditori rimasti estranei all’accordo (che devono essere pagati integralmente) rilevasse al fine di cui trattasi, per il debitore sussisterebbe l’obbligo di prevedere il pagamento integrale anche dei crediti erariali, svuotando così di qualsiasi applicazione concreta la disposizione contenuta nel comma 1 dell’art. 182-ter, che consente al debitore di proporre una soddisfazione parziale per i crediti tributari. Il che contrasta anche con la ratio della transazione fiscale e segnatamente con il perseguimento dell’interesse concorsuale posto in evidenza dalle Sezioni Unite della Cassazione con l’ordinanza 25 marzo 2021, n. 8504, perché, se il pagamento integrale dei creditori estranei dovesse essere assunto a termine di raffronto, qualsiasi proposta di falcidia dei crediti tributari (che caratterizza fisiologicamente qualsiasi transazione fiscale) risulterebbe inevitabilmente contra legem e come tale rigettata dall’Amministrazione finanziaria, nonostante l’attestata convenienza della stessa rispetto alla liquidazione giudiziale [19].
Se così fosse, inoltre, il Fisco sarebbe costretto a rigettare anche proposte di transazione estremamente convenienti per l’Erario (che prevedano ad esempio il soddisfacimento nella misura dell’80% dei crediti tributari, a fronte di un realizzo nullo in caso di liquidazione), solo perché vi sia un creditore non aderente (il quale magari vanti pure un credito di modesta entità) che deve essere pagato integralmente.
Il confronto da eseguire, per valutare la corrispondenza – alle norme di legge – della proposta formulata all’Erario, deve essere quindi circoscritto ai soli creditori aderenti all’accordo di ristrutturazione dei debiti, “elevando, conseguentemente, a pietra di paragone il trattamento riservato dal debitore agli altri creditori aderenti all’accordo medesimo” [20] e tenendo comunque conto del fatto che non trova applicazione l’art. 160, comma 2, l. fall.
Se così non fosse, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione la transazione fiscale potrebbe trovare sostanzialmente applicazione soltanto in caso di adesione della totalità dei creditori, mentre l’art. 182-bis considera come sufficiente, ai fini dell’omologazione dello stesso, l’adesione da parte dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (nel cui computo, peraltro, rientra anche l’Amministrazione finanziaria, se aderente).

4. La tesi della non operatività del divieto di trattamento deteriore

Va infine rammentato che la questione della (i)rilevanza dei creditori estranei, ai fini del divieto di trattamento deteriore, può essere esclusa in radice nel caso in cui prevalga o si condivida la (diversa) tesi secondo cui il divieto di trattamento deteriore troverebbe applicazione nel concordato preventivo, ma non nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis.
Si è infatti sopra riferito come questi ultimi siano fondati sulla base di libere pattuizioni negoziali con i creditori aderenti, dal cui contenuto restano estranei, sia il principio della par condicio creditorum, sia l’obbligo di rispettare l’ordine delle preferenze. Senonché, mentre le norme che trovano applicazione nel concordato preventivo sono dirette a ricostruire in tale ambito la medesima situazione che ricorrerebbe nel fallimento (sì da far riferimento a un unico sistema di graduazione delle cause di prelazione ai fini del rispetto delle disposizioni contenute negli artt. 2740 e 2741 c.c.), non vi è motivo per cui lo stesso effetto debba verificarsi anche con riguardo agli accordi di ristrutturazione, per i quali (anche secondo la giurisprudenza che li annovera tra le procedure concorsuali) tali regole non operano.
In questo senso il Tribunale di Milano, al punto 3.2 del Decreto 15 novembre 2011, affermò a suo tempo che “il richiamo all’art. 182-bis l.fall. operato in tema di transazione fiscale, tramite la previsione della proponibilità della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione (art. 182-ter, commi 6 e 7 l.fall.), non comporta un richiamo alle norme della transazione fiscale, ove le stesse siano legate al rispetto della graduazione dei crediti (laddove … prevedano la regola del miglior trattamento del credito privilegiato al pari degli altri creditori privilegiati, nonché del miglior trattamento del credito chirografario in caso di classamento dei creditori chirografari). Dette regole sono, difatti, destinate ad operare laddove si prospetti (come nel concordato preventivo) una graduazione dei creditori, ma non anche laddove il credito (ancorché fiscale) non sia oggetto di transazione (e in questo caso andrebbe pagato integralmente quale creditore estraneo, senza graduazione), ovvero sia stato compromesso in una transazione fiscale accettata”.
Invero, che il principio del divieto di trattamento deteriore mal si attagli alla natura dell’accordo di ristrutturazione non impedisce naturalmente al legislatore di prevederlo – ciò nonostante – anche con riguardo a tale istituto, nel qual caso occorrerebbe tenerne comunque conto. Tuttavia, il testuale richiamo al comma 1 contenuto nel comma 5 dell’art. 182-ter non pare di per sé sufficiente per ritenere sussistente l’estensione del predetto principio all’accordo di ristrutturazione, dovendo invece l’interprete valutarne la compatibilità in quest’ultimo contesto, per verificare se dal menzionato richiamo deriva effettivamente un’estensione del principio di cui trattasi all’istituto disciplinato dall’art. 182-bis. Del resto ciò che deve rilevare per l’Amministrazione finanziaria, più che il confronto del trattamento a essa proposto con quello offerto agli altri creditori (che è del tutto naturale nel concordato), è la comparazione tra la proposta di transazione e l’alternativa liquidazione giudiziale e conseguentemente la convenienza della proposta stessa, essendo contrario all’interesse erariale che un’offerta vantaggiosa per il Fisco venga rigettata, con un conseguente danno per le casse dello Stato, solo perché un creditore di rango inferiore è trattato meglio (anche perché in questo caso, se la proposta rimane comunque conveniente per l’Erario, significa che ve n’è un altro che, rispetto al soddisfacimento che riceverebbe in caso di liquidazione, rinuncia a qualcosa di più di quanto va a beneficio del creditore avvantaggiato e pertanto che nel complesso vi è comunque una ricaduta positiva per l’Amministrazione finanziaria).
Proprio a questa conclusione è alla fine pervenuto il legislatore con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”), in cui la transazione fiscale (e previdenziale) che trova applicazione nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti è disciplinata dall’art. 63, in maniera autonoma e distinta rispetto all’omologa disciplina prevista nell’ambito del concordato preventivo (disciplinata dall’art. 88), contenendo l’art. 63 un rinvio all’art. 88 unicamente in relazione alla modalità di deposito della transazione fiscale, ma non con riguardo alle altre disposizioni.
Questa impostazione è sopravvissuta anche alle correzioni e integrazioni recate dal D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, che ha inserito, nel comma 1 dell’art. 63, la precisazione per cui la transazione fiscale e previdenziale può concernere il pagamento parziale o anche dilazionato “dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori”, senza dunque alcun riferimento ai principi di trattamento “non deteriore” (per i crediti erariali privilegiati) e “più favorevole” (per i crediti erariali chirografari) previsti dall’art. 88 del predetto Codice.
L’impostazione accolta nell’art. 63 del D.Lgs. n. 14/2019 appare utilizzabile anche per interpretare la corrispondente disposizione contenuta nell’art. 182-ter della legge fallimentare, nel senso dell’inoperatività del divieto di trattamento deteriore per la transazione fiscale presentata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione.
Nella citata ordinanza n. 8504/2021, infatti, i giudici di legittimità hanno testualmente rilevato che, con specifico riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, “il D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 63, ha un contenuto normativo – sostanzialmente – molto prossimo a quello del R.D. n. 267 del 1942, art. 182 ter, comma 5 (nella versione applicabile ratione temporis), presentando varianti di disciplina secondarie e che comunque non incidono sul profilo dell’istituto che qui interessa ossia sulla soluzione della questione di giurisdizione oggetto di questo giudizio (…). Essendo la configurazione dell’istituto transitata sostanzialmente immutata nelle disposizioni del CCII e nella novella anticipatrice del dicembre 2020, deve affermarsi che non si profila una ‘soluzione di continuità’ tra la vecchia e la nuova disciplina, con la conseguenza, indicata nella citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, che la seconda può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima (…)”.
Pertanto, l’eliminazione dall’art. 63 del D.Lgs. n. 14/2019 di ogni riferimento al divieto di
trattamento deteriore (che perciò continua ad essere presente unicamente nell’art. 88 con riguardo alla transazione fiscale attuata nel concordato preventivo) ben potrebbe essere interpretata come conferma che anche sub art. 182-ter l.f. esso non opera per la transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis.

 

 

[1] Cfr. M. Spiotta, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in A. Jorio, B. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, II, 2017, pag. 271.
[2] Si vedano ex multis in dottrina M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, 2017, pag. 445; M. Spiotta, cit., pag. 273; G. Falcone, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: genesi, evoluzione, fenomenologia”, in AA.VV., Le riforme delle procedure concorsuali (a cura di A. Didone), 2016, pag. 1955; B. Inzitari, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in AA.VV., Trattato delle procedure concorsuali (diretto da O. Cagnasso – L. Panzani), III, 2016, pag. 3223; S. Ambrosini, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo la riforma del 2012”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 10/2012, pag. 1138; A. Di Majo, “Accordi di ristrutturazione”, in L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, IV, 2011, pag. 685; G. Presti, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ovvero la sindrome del teleobiettivo”, in AA.VV., Le nuove procedure concorsuali (a cura di S. Ambrosini), I, 2008, pag. 609; C. Proto, “Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coinvolti nella crisi d’impresa e ruolo del giudice”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 2/2007, pag. 193.
[3] La versione “forte” della priorità è stata recentemente condivisa dalla Corte di cassazione con la sentenza 8 giugno 2020, n. 10884, secondo cui, ai sensi e per gli effetti dell’art. 160, comma 2, l.f., nel concordato preventivo il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale può trovare un fondamento giustificativo solo nell’incapienza del patrimonio mobiliare del debitore; infatti, in forza di detta disposizione la possibilità di sottoporre a falcidia, a beneficio di altri creditori, crediti garantiti da privilegio generale richiede necessariamente che: o i beni hanno un valore eccedente i crediti garantiti, e allora questi devono essere soddisfatti integralmente, o i beni hanno un valore inferiore rispetto ai crediti privilegiati, e allora i creditori di rango inferiore non possono essere soddisfatti in alcuna misura, risultando prioritario il pagamento di quelli di rango superiore
[4] Così C. Trentini, Accordi di ristrutturazione dei debiti, 2012, pag. 276.
[5] Così ancora C. Trentini “Accordi di ristrutturazione dei debiti: questioni varie ed impar condio creditorum”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 4/2012, pag. 472. In tal senso si sono espressi sin da subito i giudici di merito, come Tribunale di Roma, 20 maggio 2010, secondo cui “possono essere pattuite percentuali diverse di pagamento tra creditori privilegiati e chirografari, anche con soddisfacimento maggiore per i chirografari”; Tribunale di Bologna, 17 novembre 2011.
[6] Cfr. M. Arato, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione il Codice della Crisi e dell’Insolvenza”, in blog.ilcaso.it, 9 ottobre 2018, nota (9); M. Spiotta, cit., pagg. 273 e 274.
[7] Cfr. sentenze 22 maggio 2019, n. 13850; 8 maggio 2019, n. 12064; 21 giugno 2018, n. 16347; 12 aprile 2018, n. 9087; 25 gennaio 2018, n. 1896; 18 gennaio 2018, n. 1182.
[8] In senso contrario all’indirizzo seguito dai giudici di legittimità si sono infatti ancora espressi Tribunale di Milano, 20 dicembre 2018, e Tribunale di Roma, 27 febbraio 2019.
[9] Così A. Di Majo, cit., pag. 681.
[10] Cfr. B. Inzitari, “Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L. Fall.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi”, in www.ilcaso.it, 12 settembre 2011, pag. 17.
[11] Così Corte di Appello di Torino, 3 agosto 2015. In tale senso si veda anche Corte di Appello di Napoli, 1° dicembre 2014.
[12] Così Corte di Appello di Firenze, 7 aprile 2016.
[13] Secondo Cass., 8 maggio 2019, n. 12064, il suddetto impegno deve risultare espressamente anche nel ricorso presentato per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
[14] Così Tribunale di Milano, 10 novembre 2016 e 20 dicembre 2018.
[15] Cfr. E. Stasi, “Sub art. 182-ter”, in AA.VV., Codice commentato del fallimento (diretto da G. Lo Cascio), 2017, pag. 2460; M. Ferro, R. Roveroni, “Sub art. 182-ter”, in AA.VV., La legge fallimentare. Commentario teorico pratico (a cura di M. Ferro), 2011, pagg. 2175 e 2176; C. Trentini, “Accordi di ristrutturazione dei debiti: questioni varie ed impar condicio creditorum”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 4/2012, pagg. 471 e 472; E. Mattei, “La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in AA.VV., Trattato delle Procedure concorsuali (diretto da L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini), 4, 2010, pag. 733 ss.; A. Paluchowski, “Sub art. 182-ter”, in AA.VV., Codice del fallimento Piero Pajardi (a cura di M. Bocchiola – A. Paluchowski), 2009, pag. 1803; L. Panzani, “Il Decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali”, in www.fallimentonline.it, pag. 5; L. D’Orazio, “La transazione fiscale”, in AA.VV., Le riforme delle procedure concorsuali (a cura di A. Didone), 2016, 2, pag. 1813.
[16] Cfr. Corte di Appello di Firenze, 7 aprile 2016, che ha rilevato come tale relazione serva ad attestare “l’idoneità del piano di rimborso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori non aderenti all’accordo entro 120 giorni”.
[17] Così Tribunale di Modena, 19 novembre 2014. Come rilevato da B. Inzitari, cit., pag. 14, l’istituto degli accordi di ristrutturazione, attraverso il governo negoziale del conflitto tra debitore e creditori, “consente il reperimento delle risorse necessarie alla soddisfazione dei creditori” ovvero la “liberazione delle risorse che, in forma illiquida o potenziale, sono già presenti nel patrimonio del debitore”.
[18] Così Corte di Appello di Torino, 3 agosto 2015.
[19] Si rammenta che, ai sensi dell’art. 182-ter, comma 1, la proposta di falcidiare i debiti tributari è ammessa a condizione che la misura della soddisfazione proposta non sia inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d).
[20] Così testualmente Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Osservazioni in tema di transazione fiscale, 2010, pagg. 13 e 14. In proposito si veda anche E. Stasi, cit., pag. 2460.