Secondo la Corte d’appello di Firenze non è consentita anche in quello in continuità
Fisco decisivo: nel concordato tre classi a favore e tre contro
di Giulio Andreani
L’omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva è consentita solo nel concordato preventivo liquidatorio e non anche in quello in continuità. Lo ha ribadito la Corte di appello di Firenze, con la sentenza 1647/2023 del 31 ottobre 2023, depositata il 14 novembre scorso, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Lucca il 18 luglio 2023.
La decisione richiama l’attenzione su una fattispecie che, sebbene controversa sul piano interpretativo, è assai rilevante ai fini dell’efficacia stessa del concordato preventivo quale strumento di regolazione della crisi, che rischia di essere fortemente limitata a causa di tale indirizzo, considerato il peso che il voto delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali spesso assume ai fini dell’approvazione delle proposte di concordato.
La vicenda su cui si è pronunciata la Corte di appello toscana è paradigmatica, in quanto comune a molti altri casi, e riguarda un concordato in cui i creditori erano stati suddivisi in sei classi (dipendenti, professionisti, enti previdenziali, agenzie fiscali, enti locali e creditori chirografari), tre delle quali (dipendenti, professionisti e chirografari) avevano espresso un voto favorevole, mentre le altre tre (enti previdenziali, agenzie fiscali ed enti locali) avevano votato negativamente (espressamente o tacitamente), nonostante la proposta di concordato fosse significativamente conveniente per tutte e tre tali categorie di creditori, grazie all’apporto di finanza esterna.
Poiché, in assenza del voto favorevole di tutte le classi di creditori, in base all’articolo 112, comma 4, lettera d), del Codice della crisi, il tribunale omologa comunque il concordato in continuità se «la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, », in una situazione “di pareggio” come quella oggetto delle sentenza (ove tre classi avevano votato favorevolmente e altre tre negativamente) assume un ruolo chiave il potere del tribunale di “convertire”, ove ne sussistano nel merito i presupposti, da negativo a positivo il voto dei creditori pubblici che hanno espresso un voto contrario; attraverso detta “conversione”, infatti, il concordato risulta approvato dalla maggioranza delle classi e, se almeno una di queste è costituita da creditori titolari di diritti di prelazione (come normalmente accade), può essere conseguentemente omologato forzosamente.
Da qui la rilevanza della questione concernente il cram down fiscale (ristrutturazione forzata del passivo, ndr), nel concordato in continuità, che la sentenza della Corte di appello di Firenze ha escluso, ritenendo che il comma 2-bis dell’articolo 88 del Codice della crisi, da cui l’omologazione forzosa è prevista, trovi applicazione esclusivamente nel concordato liquidatorio; ciò poiché tale norma «fa riferimento solo all’articolo 109, comma 1, che nel disciplinare la maggioranza per l’approvazione del concordato fa salvo
quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dal comma 5, secondo il quale il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore».
In altri termini, il comma 2-bis richiama solo il comma 1 dell’articolo 109, che si occupa del concordato liquidatorio e non di quello in continuità, e ciò sarebbe sufficiente per escludere il cram down fiscale in questo tipo di concordato.
L’argomento letterale non pare insuperabile, se si considera che lo stesso comma 2-bis, nell’indicare uno dei presupposti della omologazione forzosa, richiede che la proposta di transazione fiscale sia «conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria» ed è pacifico che, mentre la convenienza rileva in relazione al concordato liquidatorio, il carattere non deteriore della proposta rileva in ordine al concordato in continuità: l’elemento letterale è di per sé contraddittorio e insufficiente.
Del resto, come prova proprio il caso esaminato dalla Corte di appello toscana, la cosiddetta ristrutturazione trasversale prevista dal citato articolo 112, comma 1, lettera d), non sempre assorbe gli effetti del cram down fiscale e dunque non lo sostituisce né lo rende inutile.
Negare l’omologazione forzosa significa inoltre sottrarre al debitore una tutela giurisdizionale avverso atti illegittimi dell’Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, da cui discenda il rigetto della proposta di transazione anche quando questa sia non deteriore e persino conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Fortunatamente, vi è la possibilità che la querelle venga risolta dal Dlgs con cui verrà attuato il principio direttivo stabilito dall’articolo 9, comma 1, lettera a), n. 5, della legge delega per la revisione del sistema tributario, il quale prevede l’introduzione nell’articolo 88 di una disposizione in base alla quale il tribunale omologa il concordato in continuità anche quando la maggioranza delle classi è raggiunta escludendo il voto delle agenzie fiscali, se la proposta di transazione fiscale risulta non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
21 novembre 2023