di Giulio Andreani
Il Tribunale di Teramo, con riguardo all’applicazione del cram down di cui all’ art. 180, c. 4, l. fall, come modificato dal d.l. n. 125/2020, conv., con mod., nella l. 159/2020, ritiene che il tribunale abbia il potere-dovere di omologare in via sostitutiva la transazione fiscale e contributiva non solo nelle ipotesi di “mancanza di voto” (nel concordato preventivo) o “di mancanza di adesione” (nell’accordo di ristrutturazione dei debiti) dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, ma anche in caso di voto negativo o di rigetto dell’adesione da parte dell’erario (aderendo alla tesi estensiva).
Tribunale Teramo 19 aprile 2021
1. Massima
Il Tribunale di Teramo, con riguardo all’applicazione del cram down di cui all’ art. 180, comma 4, l. fall, come modificato dal d.l. n. 125/2020, conv., con mod., nella l. 159/2020, ritiene che il tribunale abbia il potere-dovere di omologare in via sostitutiva la transazione fiscale e contributiva non solo nelle ipotesi di “mancanza di voto” (nel concordato preventivo) o “di mancanza di adesione” (nell’accordo di ristrutturazione dei debiti) dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, ma anche in caso di voto negativo o di rigetto dell’adesione da parte dell’erario (aderendo alla tesi estensiva).
Viene inoltre affermata con interpretazione analogica-estensiva l’applicazione di tali norme anche in sede di concordato fallimentare.
2. Il caso e le questioni giuridiche
Il Tribunale di Teramo aderisce, in merito all’applicazione del cram down previsto dal comma 4 dell’art. 180 l. fall. novellato dalla l. 27 novembre 2020, n. 159, alla cosiddetta “tesi estensiva”, vale a dire alla tesi secondo cui il Tribunale dispone del potere-dovere di omologare in via sostitutiva la transazione fiscale e contributiva non solo in assenza di una pronuncia dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, come sostiene chi aderisce alla cosiddetta “tesi restrittiva”, ma anche a seguito del rigetto espresso della proposta di transazione da parte dei rispettivi enti creditori.
Il Tribunale di Teramo ha ben colto, a modesto avviso di chi scrive, la funzione principale della suddetta disposizione, costituita dall’esigenza “di assicurare alle imprese debitrici una reale tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione, emessi dall’amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali e assistenziali in contrasto con i principi affermati dall’art. 182 ter l. fall.; tutela che sino all’introduzione di tali norme, pur essendo teoricamente sussistente, è risultata di fatto inattuabile” e che il legislatore si è fatto carico di introdurre nell’ordinamento con il Codice della crisi e, prima ancora dell’entrata in vigore di quest’ultimo, con la citata L. n. 159/2020.
In merito al potere-dovere di cui dispone l’amministrazione finanziaria ai fini dell’esame delle proposte di transazione fiscale sono stati espressi in dottrina diversi orientamenti, i quali presentano comunque tratti comuni:
a) una parte della dottrina non ravvisa in tale attività l’esercizio di un potere discrezionale, in quanto “la decurtazione opera in relazione alla funzione prettamente satisfattoria propria dell’attività di riscossione, ed a seguito del necessario compromesso tra fiscalità e regole concorsuali, in conseguenza della impossibilità della piena soddisfazione di tutti i creditori per lo stato di crisi in cui versa l’imprenditore –
contribuente” (così testualmente M. T. Moscatelli, Indisponibilità e discrezionalità [Dir. Trib.], in diritto on line, 2016, nonché Crisi dell’impresa e debito tributario: riflessioni sulla transazione fiscale, in Rass. Trib., 2008, n. 5, 1329-1331);
b) secondo altra parte della dottrina il potere-dovere conferito all’amministrazione finanziaria di trattare le proposte di transazione fiscale, di accettarle o respingerle, comporta valutazioni dai contorni indefiniti (quali il giudizio circa la probabilità di riscuotere le imposte in base al grado di solvibilità futura del contribuente), che nulla avrebbero a che vedere con il concetto di “discrezionalità amministrativa” (che investe il bilanciamento di interessi pubblici con quelli privati), né con quello di “discrezionalità tecnica” (che concerne l’applicazione di norme tecniche circa la determinazione del tributo o la sua riscossione), talché “la decisione da assumere ai sensi dell’art. 182 ter è ascrivibile, sul piano logico, all’indisponibilità rovesciata perché, se c’è ‘stato di crisi’, la previsione sull’effettivo incasso futuro del tributo è sempre una questione ‘controvertibile all’infinito’” e deve essere adottata secondo il criterio del “male minore” (o “proportionality”) in considerazione della situazione di obiettiva incertezza che la caratterizza cfr. (M. Versiglioni, il quale annovera nel ramo dei casi controvertibili all’infinito la scelta dell’Agenzia delle Entrate di accettare o rigettare la proposta di transazione fiscale e, perciò, utilizza l’espressione “indisponibilità rovesciata”, in quanto in tale ramo a dover essere ricercati non sarebbero gli spazi di discrezionalità dell’agire amministrativo, bensì all’opposto gli eventuali vincoli ad esso imposti).
c) altra dottrina, infine, rinviene nel suddetto potere-dovere profili di discrezionalità (tuttavia non indeterminati), poiché, ai sensi dell’art. 182-ter, “l’Amministrazione è chiamata ad effettuare una complessa serie di valutazioni, tra cui la comparazione del risultato ottenibile all’esito della transazione con il minor gettito che deriverebbe dal fallimento dell’impresa”, pervenendo, in ossequio al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., “ad una ricostruzione il più oggettiva possibile della dimensione qualitativa e quantitativa del presupposto onde garantire il giusto riparto” (Così M. Martis, Contributo allo studio della discrezionalità nel diritto tributario, Esi, 193-195. In tal senso anche M. Mauro, La transazione fiscale nel labirinto delle norme e dei principi, in Quaderni di Rivista di diritto tributario, La Riscossione dei tributi (a cura di M. Basilavecchia, S. Cannizzaro, A. Carinci), 2011, 327 ss.; G. Marini, Transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, n. 5, 1211; V. Ficari, Riflessioni su ‘transazione’ fiscale e ‘ristrutturazione’ dei debiti, in Rass. trib., 2009, n.1, 70).
Quest’ultimo orientamento considera, in particolare, come nell’esercizio di detto potere discrezionale l’Amministrazione finanziaria debba “effettuare un contemperamento tra il primario interesse pubblico alla puntuale applicazione del tributo e altri interessi extrafiscali, quali, ad esempio, l’occupazione o la convenienza dell’esercizio dell’impresa (…) onde adottare delle soluzioni che, pur nel rispetto dei principi di legalità e riserva di legge, tutelino, seppur in misura minore, un interesse erariale che con tutta evidenza non sarebbe in toto soddisfabile” in considerazione dello stato di crisi del contribuente (M. Martis, op. cit., 194 e 196).
D’altro canto, la quantificazione partecipata del tributo in sede di transazione fiscale, in conseguenza delle valutazioni effettuate e del bilanciamento degli interessi in gioco, garantendo una maggiore certezza del pagamento del debito tributario (ancorché in misura parziale), costituisce espressione “non solo di ragionevole riparto del carico, ma anche di eguaglianza e giustizia tributaria” (Così V. Ficari, Transazione fiscale e disponibilità del credito tributario: dalla tradizione alle nuove ‘occasioni’ di riduzione ‘pattizia’ del debito tributario, in Riv. dir. trib., 2016, 4,493).
La stessa Agenzia delle entrate ha del resto da tempo affermato, con la circolare 26 aprile 2010, n. 20/E, che: “in presenza di situazioni di crisi aziendale, sia prodromiche alla dichiarazione di fallimento sia evidenziate in una proposta di concordato preventivo, lo
strumento transattivo può infatti rivelarsi decisivo per garantire l’effettivo introito di somme dovute all’erario in misura certamente superiore (ed in tempi ovviamente ben più rapidi) rispetto a quanto potrebbe avvenire con le ordinarie modalità di riscossione, in caso di fallimento del contribuente”.
Ne discende, quindi, che all’amministrazione finanziaria è attribuito il potere-dovere di consentire – attraverso l’adesione alla proposta formulatale dal debitore – la riduzione di crediti tributari precedentemente sorti, purché ciò sia necessario per conseguire il miglior recupero degli stessi, in considerazione della situazione di crisi finanziaria in cui si trova il contribuente-debitore.
A ben vedere non si tratta, quindi di una vera e propria discrezionalità, ma di una “discrezionalità vincolata” o, come è stato da altri rilevato, di una “discrezionalità controllata”, da cui deriva, a seconda del contenuto della proposta di transazione e dello stato del contribuente che la formula, non un libertà di scelta, ma l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di respingere tale proposta, quando essa non è conveniente, e di accettarla quando invece lo è. Nel disporre ciò il Fisco deve attenersi ai principi all’uopo stabiliti dall’art. 182 ter l. fall., i quali ne vincolano e ne giustificano le determinazioni.
Non disponendo il fisco di una discrezionalità vera e propria, è evidente che all’impresa contribuente deve essere attribuita una tutela giurisdizionale, da utilizzare ogniqualvolta la pronuncia dell’amministrazione finanziaria non appaia conforme alle norme che disciplinano la transazione fiscale (altrettanto dicasi per quella contributiva); altrimenti sarebbe come dire che qualsiasi decisione dell’Agenzia delle Entrate e degli enti previdenziali è di per sé legittima, semplicemente in quanto adottata da tali soggetti, il che ovviamente non può essere.
Come afferma il Tribunale di Teramo, anche sulla scorta di quanto hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con il provvedimento n. 8507 del 25 marzo 2021, “la transazione fiscale rappresenta l’esigenza di bilanciare l’interesse fiscale con l’interesse concorsuale, sicché la discrezionalità riconosciuta all’amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi è bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta di transazione, che risulta assegnato al giudice ordinario fallimentare” (proprio perché trattasi di discrezionalità “vincolata”).
Tale sindacato assolve una funzione di per sé essenziale in qualsiasi contesto e in qualsiasi momento, ma si rivel assolutamente necessario nell’attuale contesto in cui:
(i) da un lato, l’Agenzia delle entrate continua a rigettare proposte di transazione fiscale palesemente convenienti, e talvolta persino senza la benché minima motivazione, solo perché le ritiene troppo modeste in valore assoluto e/o percentuale, sebbene il criterio di valutazione disposto dalla legge non sia questo ma appunto quello della convenienza (si pensi a una proposta di pagamento dei crediti fiscali nella misura del 5%, la cui alternativa è rappresentata dal fallimento del debitore da cui non deriverebbe alcun pagamento a favore del fisco);
(ii) dall’altro, gli enti previdenziali continuano ad applicare il decreto interministeriale 4 agosto 2009, nonostante esso sia stato espressamente abrogato dalla medesima L. n. 159/2020 sopra citata, rigettando tutte le proposte di transazione che non rispettino i suoi illegittimi e assurdi criteri. Insomma, di fronte ad atti della Pubblica Amministrazione emessi in totale spregio delle norme, un rimedio deve pure essere previsto:
nell’interesse del contribuente e nell’interesse dell’erario stesso, giacché rigettare proposte convenienti significa provocare un danno alle casse pubbliche.
La “tesi estensiva” adottata dal Tribunale di Teramo non contrasta con la lettera della norma, perché l’adesione e il voto “mancano” non solo quando non vi è stata pronuncia alcuna da parte dei creditori di cui trattasi, ma anche quando la prima non è stata concessa e il secondo è stato espresso negativamente, né tale tesi contrasta con la direttiva Insolvency 1023/2019, poiché non impedisce affatto il rispetto della relative priority rule e, anzi, non interferisce affatto con le regole di attribuzione ai creditori del patrimonio del debitore.
Il decreto del 19 aprile 2021 si fa peraltro apprezzare anche per un ulteriore motivo. Il Tribunale abruzzese ha infatti affermato anche che, lungi dal rappresentare una ipotesi di norma eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica, il comma 4 dell’art. 180 l. fall. reca una disposizione strutturale, che disciplina durevolmente il trattamento dei debiti tributari e contributivi e delinea un diritto comune dei creditori pubblici.
Conseguentemente tale disposizione può trovare applicazione anche con riguardo al concordato fallimentare per analogia.
Non vi è dubbio che le due discipline – del concordato preventivo e del concordato fallimentare –siano assai diverse fra loro, così come non vi è dubbio che in quella del concordato fallimentare manchi una norma che attribuisca al Tribunale il potere-dovere di omologare l’accordo nonostante il voto contrario dell’amministrazione finanziaria, ma le due fattispecie sono certamente simili e presentano una ratio comune.
La novella legislativa non ha infatti principalmente lo scopo di favorire la conservazione dei presidi produttivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali, ma quello di evitare che l’approvazione delle proposte di transazione convenienti per l’Erario non sia ostacolata da ingiustificate resistenze e ciò anche indipendentemente dal mantenimento dell’attività d’impresa e dei relativi livelli occupazionali, pur costituendo tali effetti certamente un fattore di valutazione della convenienza erariale.
La ratio è quindi comune, nonostante le diversità esistenti tra le due discipline (il silenzio assenso in un caso e il silenzio rifiuto nell’altro, la suddivisione dei creditori in classi di fatto imposta dall’art. 182-ter che non trova spazio nel concordato fallimentare), le quali tuttavia non sono rilevanti ai fini di cui trattasi e pertanto non impediscono, secondo il Tribunale di Teramo, l’applicazione analogica del citato art. 180. È vero che l’art. 182 ter richiede che la convenienza della proposta di transazione sia attestata da un professionista indipendente, il cui intervento non è previsto dalle norme che disciplinano il concordato fallimentare, ma la medesima funzione è assolta, in questo caso, dalla relazione di cui all’art. 125 l. fall., la quale, essendo redatta dal curatore fallimentare, è da ritenersi per certi versi persino più attendibile di quella richiesta in via ordinaria dal citato art. 182 ter , in quanto proveniente da un professionista direttamente nominato dal Tribunale; conseguentemente l’art. 124, comma 3, si rivela del tutto sovrapponibile all’art. 161, comma 3, l.fall..
3. Conclusioni
Il decreto del Tribunale di Teramo suggerisce una considerazione finale.
Sono maturi i tempi per una riforma sistematica del regime fiscale delle procedure concorsuali e degli effetti che da queste sono prodotti; una riforma che, da un lato, introduca discipline diverse per procedure che, al di là della loro comune denominazione, nella sostanza sono differenti, distinguendo tra procedure liquidatorie e di risanamento, e, dall’altro, eviti trattamenti differenziati con riguardo a fenomeni simili ancorché discendenti da procedure diverse. Per intenderci, non vi è motivo di prevedere il medesimo regime fiscale per il concordato liquidatorio e per quello in continuità, producendo tali procedure effetti diversi sotto vari profili nonostante i tratti comuni, così come non vi è motivo di trattare diversamente, sotto il profilo tributario, il fallimento e il concordato liquidatorio solo perché si tratta di procedure diverse, posto che producono ai fini fiscali i medesimi effetti.